di Mauro Seminara
L’operazione condotta dalle Forze Armate italiane martedì a Lampedusa, principalmente dalla Marina Militare, aveva lasciato adito a forti dubbi sulla natura delle grandi manovre in notturna e sulla correlazione tra l’allontanamento dalle Pelagie delle navi da assalto italiane coinvolte ed il conseguente messaggio di Fayez al-Serraj sull’Italia quale “partner più importante” per la Libia di Tripoli. Le aspettative, all’esito del viavai di aerei e zattere della Marina Militare a luci spente e con un camion dell’Aeronautica Militare impiegato per la logistica locale, erano di una possibile comparsa di nuove armi in dotazione alle forze che difendono il Governo presieduto da Fayez al-Serraj a Tripoli dalle forze del generale Khalifa Haftar che assedia ormai da diversi giorni la capitale dopo essere riuscito a penetrarla fino ai sobborghi della periferia. L’odierna scoperta del giornalista Nello Scavo per Avvenire, il quotidiano della CEI che negli ultimi tempi sta dando filo da torcere a tutte le testate nazionali, sembra aggiungere un tassello mancante alla sequenza di insoliti movimenti italiani eseguiti a 180 miglia da Tripoli.
Nel servizio odierno di Avvenire, Nello Scavo pubblica le foto circolate sui social in Libia che le forze fedeli al Governo di transizione voluto dalle Nazioni Unite hanno scattato e pubblicato ostentando armi installate su quelle motovedette che l’Italia ha donato per il controllo dei flussi migratori in quella farsesca SAR che una sedicente guardia costiera avrebbe dovuto pattugliare. La Libia, sia quella di Serraj che quella di Haftar, dovrebbe essere sotto regime internazionale di embargo sulle armi. Per questa ragione, al fine di commutare in motovedette da Guardia Costiera le navi da guerra – così classificate – che furono pattugliatori della Guardia di Finanza, le armi installate sulla torretta di prua erano state smontate prima della consegna. Armi che adesso ricompaiono magicamente sulla prua di una riconoscibile unità navale che fu delle Fiamme Gialle italiane. Se così dovesse essere, se di fatto la sequenza è stata di una consegna di armamenti scaricati a Lampedusa e caricati sulle navi anfibie da assalto classe San Giorgio per una consegna operata dalla Marina Militare italiana a Tripoli, l’Italia rischierebbe gravi sanzioni dalle Nazioni Unite per la violazione dell’embargo in Libia.
L’arma che militari in tenuta operativa e volto coperto ostentano sulla prua dell’ex pattugliatore della Guardia di Finanza ha un suo alloggio specifico, fatto per le torrette da armi di quel calibro in dotazione a quel tipo di unità navale. Difficilmente un basamento mobile di quel genere si trova sul mercato nero delle armi o lo si acquista in e-Commerce. L’ipotesi, a questo punto, è che proprio dall’Italia siano arrivate – anche – le armi native per le unità navali italiane donate ai libici. Inoltre, come fa notare l’ottimo servizio di Avvenire, l’impiego a fini bellici di quelle navi – adesso nuovamente da guerra – rappresenta ulteriore prova di una area SAR che la Libia continua ad avere su carta ma che è in grado di coprire ancor meno di prima. Gli ex pattugliatori classe Bigliani della Guardia di Finanza italiana, in quest’ottica, non sono più guardacoste convertiti dai libici in navi da guerra. Se le armi rimontate a prua sono quelle originali italiane che furono in dotazione a quelle navi, le stesse navi rappresenterebbero adesso una gravissima violazione italiana dell’embargo in Libia. Oltre, ovviamente, a risultare prova di omissione libica di sicurezza SAR con la complicità del “partner più importante” della Libia. Fonti sentite da Avvenire al Ministero dei Trasporti, malgrado l’evidenza sempre più aggravata dagli stessi libici sui social, hanno comunque asserito di non avere “notizie ufficiali circa una riduzione delle capacità Sar della Guardia costiera libica”.
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