di Mauro Seminara
Il presidente della Repubblica, come da accordi intrapresi nel corso del tentativo di ricucire lo strappo tra Italia e Francia causato dell’esecutivo di Salvini e dintorni, si è recato in Francia per il cinquecentesimo anniversario della morte di Leonardo Da Vinci. La visita per la celebrazione del genio italiano sepolto in terra francese era un’occasione perfetta per cementare i rapporti resi fragili dalla campagna elettorale europea che contrappone il governo italiano a quello francese. Da Parigi, Mattarella e Macron hanno espresso sentimenti di amicizia e solidarietà reciproca. Entrambi i presidenti delle rispettive repubbliche hanno quindi fatto tutto il possibile per seppellire l’ascia di guerra alzata con fare minaccioso dal governo populista italiano. Tra una visita alla cattedrale di Notre Dame e una deposizione di fiori sulla tomba di Leonardo Da Vinci, a Parigi tutto sembrava andare nella giusta direzione. La stessa che i presidenti Sergio Mattarella ed Emmanuel Macron avevano stabilito quando il presidente italiano aveva ritenuto di dover telefonare all’omologo francese per mettere una pezza sullo strappo. L’appuntamento in Francia tra Mattarella e Macron è stato quindi fissato già diverse settimane addietro, e per far sì che tutto filasse liscio era sufficiente un giorno di silenzio politico in Italia. In fondo, c’era Leonardo Da Vinci con i suoi cinque secoli dalla scomparsa, e Leonardo è un nome che basta ed avanza per rievocare i fasti italiani del rinascimento.
Nel giorno in cui l’anziano e saggio presidente della Repubblica italiana si reca a Parigi per sanare i rapporti con la vicina e antagonista quanto alleata Francia, il vicepresidente del Consiglio dei ministri decide di recarsi in veste di ministro dell’Interno a Budapest per incontrare il proprio omologo ungherese e subito dopo dal presidente Viktor Orban in qualità di segretario federale del Carroccio ed alleato politico alle europee. Sembra schizofrenia, e forse lo è davvero. Mattarella stringe la mano allo storico alleato moderato dell’Italia in Europa, Salvini va a stringerla nello stesso giorno a Viktor Orban dopo aver visitato il muro anti-migranti ungherese e dopo aver parlato a nome dell’Italia, in conferenza stampa con il collega ministro dell’Interno, dichiarando unità d’intenti tra Italia ed Ungheria per le politiche europee “dal 27 maggio in poi”. La concomitanza della visita in Ungheria di Matteo Salvini con quella precedentemente fissata di Sergio Mattarella a Parigi non ha per nulla l’aria di un voler deporre l’ascia di guerra. Piuttosto, appare come una vistosa provocazione in sede europea.
Mentre Salvini parla di partnership tra Italia ed Ungheria su porti, scambi commerciali e reciproco sostegno in caso di vertenze da Bruxelles contro i due Paesi che promettono ancor più dura lotta ai flussi migratori, in Italia c’è la terza voce del coro stonato e si chiama Luigi Di Maio. Nel gioco delle due facce della stessa medaglia, che adesso mettono in atto lo stesso copione per le elezioni europee, il capo politico del Movimento ormai a sei stelle critica pesantemente la scelta del collega leghista di stringere accordi con la coalizione politica estremista di Viktor Orban. Luigi Di Maio, che non aveva criticato l’attacco all’Eliseo ma che lo aveva appoggiato con tutta la sua macchina di propaganda internet schierata sul CFA e sul colonialismo africano della Francia, adesso critica la scelta della Lega come un partito che si ritaglia il proprio spazio elettorale ma senza fare cenno alla provocazione resa al Quirinale e neanche all’ennesimo intervento del “ministro di tutto” che si fa portavoce dell’intero Governo italiano per quei rapporti tra Italia ed Ungheria che dovrebbero essere di esclusiva pertinenza dei Ministeri degli Esteri e dello Sviluppo Economico o al massimo del presidente del Consiglio dei ministri. Mancano 24 giorni alle elezioni per il rinnovo dell’Europarlamento, forse non è necessario aggiungere altro a questa frase.
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