A Edoardo Rixi sono state contestate spese proprie non congrue per circa 20.000 euro, tra vitto e viaggi. Al leader del Carroccio ligure è stata contestata anche la mancata vigilanza su 36.000 euro di spese del gruppo consiliare, a cui si aggiungono 9.400 euro dell’attuale senatore Francesco Bruzzone e 42.000 euro di Maurizio Torterolo, che ha già patteggiato due anni. Infine, 688 euro perché avrebbe presentato spese “in conto terzi”. Lo spiega l’Agenzia Dire, che ha seguito l’epilogo giudiziario del viceministro dei Trasporti leghista condannato al processo “spese pazze”. A Rixi è stata inflitta una pena di tre anni e cinque mesi e l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Disarmanti le dichiarazioni dei ministri Salvini e Toninelli. Il primo, ministro dell’Interno, è bene sottolinearlo, dichiara di “accettare” le dimissioni di un viceministro interdetto dai pubblici uffici “per tutelare il Governo”. Se ne deduce che se non fosse per l’equilibrio politico della maggioranza di governo andrebbe bene un condannato per peculato e falso in un Ministero alle Infrastrutture oltre che ai Trasporti. Ministero in cui altro vice era Armando Siri, alfiere di Salvini che aveva patteggiato una pena per bancarotta fraudolenta. Il ministro dei Trasporti, il pentastellato Danilo Toninelli, che aveva un rinviato a giudizio per “spese pazze” ed un bancarottiere quali sottosegretari, parla di Ministero “falcidiato” invece di spiegare come e perché un ministro del “partito dell’onestà” aveva due soggetti poco trasparenti quali vice. Anzi, è cura del ministro Toninelli ringraziare Edoardo Rixi per il lavoro svolto. Francesco Pinto, procuratore aggiunto, per l’ex capogruppo Rixi aveva chiesto tre anni e quattro mesi di reclusione per peculato e falso a vario titolo. Ma l’appena dimesso viceministro leghista non era l’unico rinviato a giudizio per le cosiddette “spese pazze” che riguardano invece altri 19 consiglieri. Ulteriore responsabilità a carico di Edoardo Rixi che in qualità di capogruppo non avrebbe vigilato, quindi non si sarebbe accorto che anche i suoi colleghi si sarebbero fatti rimborsare spese private con soldi pubblici. Un viceministro che spacciava e lasciava spacciare per spese derivanti da attività istituzionali quelle invece private, ed un viceministro delegato con già alle spalle una bancarotta fraudolenta patteggiata. Due casi, per quanto di viceministri della Lega, che pongono gravi quesiti sulla capacità di Luigi Di Maio – oggi sottoposto alla valutazione degli iscritti sulla piattaforma Rousseau – di condurre il Movimento 5 Stelle senza che questo diventi il partito dei “professionisti dell’onestà” che ha accettato di dare deleghe, nei propri ministeri, a bancarottieri e rinviati a giudizio per peculato oltre che aver salvato il leader alleato da un processo per sequestro di persona aggravato. La sentenza pronunciata dal giudice della seconda sezione penale del Tribunale di Genova, Giuseppe Dagnino, ha adesso permesso di svelare un ulteriore scheletro nell’armadio della Lega ma anche del Movimento 5 Stelle.
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