Che il “decreto sicurezza” ed il suo bis non andavano bene era stato detto e scritto da molti esperti in materia, ma il leader del Carroccio è una che tira dritto, che se ne frega e che non ha un alleato di governo capace di imporre il minimo sindacale di decreti legge scritti bene. La prima cantonata, il ministro dei porti chiusi, l’aveva già presa quando la Capitana della Sea Watch 3, con l’approvazione della Ong, aveva deciso di infrangere il DL di Salvini ed entrare in acque territoriali italiane dopo circa due settimane di attesa a largo dell’indicazione di un porto sicuro più vicino. Dal momento in cui la Ong si è accollata il prezzo da pagare previsto da Salvini, cioè la sanzione amministrativa ed il sequestro della nave, il Decreto sicurezza bis aveva già mostrato la falla: i profughi dovevano sbarcare. In questa fase, di fronte allo sgretolamento dello strumento di forza tanto voluto dal ministro dell’Interno, gli argomenti erano stati tanti e tutti assurdi, ma tutti finalizzati al distogliere l’attenzione dal fallimento. Uno è stato l’attacco all’Olanda, rea di non aver preso in carico la nave – che batte bandiera olandese – con tutte le persone a bordo. Ma già in quest’azione politica, autolesionista e mortificante, Salvini aveva dimenticato tutte le leggi internazionali ma anche che la Diciotti era una nave italiana di un corpo dello Stato italiano e non per questo il governo ha ritenuto di non poter ricattare moralmente l’Unione europea prima di far sbarcare le persone soccorse. L’altro è stato il continuo ripetere che se la Capitana e tutta la Ong avessero veramente a cuore le sorti delle persone che avevano soccorso il 12 giugno non le terrebbero a bordo quale ostaggio e farebbero rotta verso un altro porto. Ma anche questa bufala istituzionale aveva le gambe corte, perché il porto sicuro europeo più vicino era quello davanti il quale la Sea Watch 3 attendeva consegne e se il ministro avesse avuto sincera preoccupazione per gli “ostaggi” li avrebbe fatti sbarcare sottraendoli alla Ong. Tra l’altro, la nave si trovava già in acque territoriali ed il ministro non avevo proprio più scuse.
Senza una ragione o un briciolo di appiglio giuridico, il Governo italiano si è ostinato lasciando la nave in rada ma negandole il porto di Lampedusa. Lo ha fatto fino a quando la Capitana – la nemesi coraggiosa e determinata del “capitano” – non ha deciso di avviare i motori e forzare il divieto entrando in porto. La manovra dissuasiva della Guardia di Finanza, e l’ingombro della banchina con conseguente rischio di collisione tra la Sea Watch 3 e la motovedettina delle Fiamme Gialle, aveva prodotto un arresto in flagranza di reato contestato ed eseguito dagli stessi militari appartenenti al Ministero delle Finanze ed al successivo sorriso rinato sul volto del ministro dell’Interno. Ma il sorriso di Salvini era destinato a durare poco. La Capitana era stata accusata di crimini che presto hanno perduto di riscontro oggettivo per la formulazione e Carola Rackete è stata liberata. Ma non è tanto la liberazione della tanto odiata Capitana che ha usurpato il titolo a far preoccupare il ministro, quanto piuttosto il modo in cui il suo decreto legge è andato ad infrangersi come un calice di cristallo sul muro di leggi pre-esistenti. La prefettura ha ad esempio disposto il sequestro della nave in applicazione del DL sicurezza bis, ma tale disposizione amministrativa è sottoposta all’autorizzazione del Tribunale che, dall’intervento della magistratura in poi, ha priorità decisionale ed è infatti stato negato. Anche altri aspetti del decreto legge si sono scontrati con le altre ed alte leggi consultate ad Agrigento. Tanto che il procuratore capo Luigi Patronaggio ha optato per la separazione dei procedimenti lasciando in attività a parte l’accertamento sull’eventuale violazione dell’articolo 12 del Testo Unico sull’Immigrazione clandestina. Per stabilire se Carola Rackete dovrà subire un processo per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, la Procura di Agrigento dovrà vagliare la capacità effettiva della cosiddetta guardia costiera libica di far fronte alle emergenze nella vasta area SAR di competenza ed anche se, una volta e per tutte, la Libia può essere considerato un Place of Safety, cioè un “porto sicuro”.
La verifica sul porto sicuro e sulla capacità libica di gestire emergenze in propria area SAR può scagionare Carola Rackete dall’accusa di favoreggiato l’immigrazione clandestina, ma anche stabilire un precedente giuridico insindacabile che segnerà la via alle altre Ong ed anche al Governo che si vedrà distrutto in un sol colpo il Decreto sicurezza bis. Nessuno sarà infatti mai più in violazione di tale decreto legge nel caso in cui non si atterrà alle disposizioni della guardia costiera libica sul ricondurre i migranti soccorsi nuovamente in Libia. Il decreto di Salvini si basava su questo presupposto e sullo stesso era incentrata l’azione persecutoria nei confronti di Sea Watch che si era rifiutata di ottemperare alle disposizioni accettando l’indicazione libica di Tripoli quale porto sicuro più vicino. Dal giorno in cui Agrigento si pronuncerà su porto sicuro e guardia costiera della Libia, il decreto sicurezza bis di Matteo Salvini sarà carta straccia. Una spada di Damocle che pende sul capo di un decreto prossimo al Parlamento per la conversione in legge. Un appuntamento che ha già fatto perdere altri pezzi all’alleato ormai da tempo esastellato. Epurazioni qua, accuse la, il Governo si sta trovando adesso la corsa di ritorno di un boomerang che punta dritto sul viso paonazzo di chi ha perso già tutte le partite. Tra queste, quella europea per le nomine: l’Italia è il Paese fondatore dell’Unione europea più isolato. Forse qualcuno capirà che essere forti su Twitter non equivale ad essere grandi statisti.
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