di Mauro Seminara
Con una polemica al giorno, di quelle che monopolizzano il dibattito quotidiano infervorando gli animi degli italiani – complice anche la stampa che, di partito o a caccia di audience, si immerge nel gossip politico giornaliero – in un susseguirsi di suspence da reality show, il tempo in Italia scorre con una percezione distorta. Sembra infatti trascorso un decennio, eppure l’accusa di impeachment che il Movimento 5 Stelle insieme alla Lega aveva mosso nei confronti di Sergio Mattarella, colpevole di aver negato la delega ad un ministro perché i mercati – quindi stranieri – non avrebbero gradito, risale a poco più di un anno fa. Quello scivolone costituzionale del presidente della Repubblica avallò in maniera prodigiosa l’ebrezza populista di chi andava al Governo con dietro una notevole percentuale di italiani che l’acclamava inveendo al contempo contro sconosciuti ed invisibili “establishment”, “poteri forti”, “tecnocrati” e “Bilderberg” vari. Era il “Governo del Cambiamento”, il nuovo che avanzava per rimettere a posto le cose in Italia. Standing ovation.
L’ombra dell’impeachment, non per una frase formulata male per una registrazione venuta bene, si presenta adesso per il vicepremier, ministro dell’Interno, alleato di Governo con un consenso enorme e leader della Lega. Anzi, leader di tutte le “Lega”. Perché c’è la Lega per gli italiani, la “Lega Salvini Premier”, e la Lega per i padani. Quest’ultima, ancora viva “Lega Nord”, dovrebbe essere la stessa che deve restituire agli italiani un maltolto di 49 milioni di euro e che ha beneficiato di una comoda rateizzazione: un’ottantina di anni. Quando, e se, il debito verrà estinto, di questo passo, saremo già arrivati alla “ottantesima Repubblica”. Perché questa, la “Terza”, puzza già di putrefazione. Ad accelerarne la decomposizione c’è il più miserabile e definitivo rinnegare le origini che lo stesso Movimento 5 Stelle sta mettendo in atto: la “fiducia” a Matteo Salvini.
Lo sappiamo tutti, anche quelli che non hanno convenienza ad ammetterlo, che se i pentastellati fossero stati all’opposizione e il ministro leader di partito coinvolto in oscuri affari con i russi si fosse chiamato Angelino Alfano o Marco Minniti, le cinque stelle avrebbero inondato tutte le piazze d’Italia per urlare la pretesa di immediate dimissioni. Perché un Governo non può avere al suo interno un ministro sul quale pende un dubbio così grave, ed è giusto che sgomberi il ministero. Così avrebbero detto. Così dissero per altri, in passato. Ma oggi per Luigi Di Maio, frontman della premiata ditta Casaleggio-Grillo & Associati, il dubbio che la Lega possa aver messo sul tavolo di un affare privato una compartecipata dello Stato strategica come l’ENI e garantisse al contempo, all’interlocutore straniero, il massimo impegno per “cambiare” l’Unione europea, non rappresenta alcun problema. Come non lo rappresenta per il premier esastellato Giuseppe Conte. C’è da chiedersi se il doppiopesismo non dipenda dal fatto che questa volta sono loro attaccati alle poltrone e non l’avversario politico.
Aspettando che il presidente della Repubblica prenda il caffè e si pronunci poi sul grave dilemma, perché se Paolo Savona poteva non piacere ai mercati, fin quando Matteo Salvini non chiarirà se la Lega lavora per gli interessi italiani o per quelli russi potrebbe anche non piacere alla Repubblica italiana, vien fuori comunque e ben sostenuto il dubbio di impeachment. Perché di fatto cosa è il cosiddetto “impeachment” se non la traduzione – da questo inglese tanto di moda – del nostro italianissimo “alto tradimento”? E di alto tradimento sta già accusando Matteo Salvini una parte dell’opinione pubblica italiana. Quella stessa parte che non dimentica che il signore in questione deve restituire 49 milioni di euro che il suo partito ha distratto senza motivarne le spese. Lo stesso che non sapeva nulla degli affari sporchi di cui sono accusati suoi “sconosciuti” colonnelli come Siri, Arata e adesso anche Savoini. E di un ministro che non sa cosa fa insieme a lui in Russia il coinquilino che ha sede dell’associazione filo russa nello stesso palazzo del partito, il Movimento 5 Stelle potrebbe anche chiederne legittimamente le dimissioni. E a dirla tutta, potrebbe farlo nell’esercizio dei suoi poteri anche il presidente della Repubblica telefonandogli e invitandolo al Quirinale per rassegnare formali dimissioni dal Governo.
Ma in un susseguirsi frenetico di nodi che vengono al pettine, e fortunatamente anche alle prime pagine dei giornali che finalmente causano i trend sui social invece che inseguirli, emergono in concomitanza altre notizie che ricoprono di ridicolo il ministro dell’Interno e tutto lo Stato italiano, non soltanto il Governo. Tra queste c’è che fino a ieri nessuna Procura della Repubblica italiana si era mai accorta – aprendo un fascicolo d’ufficio come avrebbe dovuto – del fatto che gli account social di Matteo Salvini sono ricchi di diffamazioni ed incitano all’odio. C’è voluta la Capitana della Sea Watch 3 – con il supporto di un avvocato dello spessore di Alessandro Gamberini – perché a Roma prendessero in considerazione l’idea che, applicando la legge anche al segretario federale leghista come ad un qualunque cittadino italiano, gli account di Matteo Salvini dovrebbero essere immediatamente chiusi. Bloccati subito, con qualche anno di ritardo però. E ci voleva il più drammatico e doloroso degli incidenti stradali per far emergere qualche miserabile populismo scagliato quotidianamente contro i più deboli ed in pasto al popolino mentre ancora il principale problema nella sicurezza interna del Paese, di cui dovrebbe occuparsi il ministro dell’Interno, rimane la mafia.
La beffa di Vittoria è il crollo della vuota propaganda di questo governicchio di ciarlatani e del suo “uomo forte” Matteo Salvini. Nella piccola cittadina siciliana, un “intoccabile” gira in auto ubriaco e strafatto di cocaina insieme ad altri sodali delle locali cosche. Due vittime innocenti pagano il prezzo di una guerra a cui lo Stato italiano ha rinunciato: quella alla mafia. I due bambini sono morti, falciati dal presuntuoso e alterato figlio del mandamento. Nessuno, malgrado il piccolo centro abitato di Vittoria, si era mai accorto della spregiudicatezza del pregiudicato. Nessuno fino a quando due bambini, ignari della realtà nazionale in cui vivevano e sarebbero dovuti crescere, non hanno pagato con la vita il prezzo dei riflettori accesi su Vittoria. Nessuno si accorgeva del pericolo ambulante e nessuno si accorgeva della vergogna che rappresentava per lo Stato italiano il dover pagare un costosissimo affitto ad un mafioso già in carcere che poteva vantarsi con i compagni di cella d’essere ricco grazie allo Stato italiano. Perché a lui andava circa il 50% della locazione del Commissariato di Polizia di Vittoria.
Ovviamente, si presume che dal Tribunale che ha emesso la sentenza di condanna, passando per la Procura che ha coordinato le indagini redigendo anche la situazione patrimoniale e finendo alla Prefettura che avrà dovuto prendere atto dell’anomalia nei possedimenti riconducibili al condannato, nessuno si è posto il problema che se le forze dell’ordine sono ospiti dei mafiosi qualcosa in questo paese proprio non torna. E di questo pare fino ad oggi non essersene reso conto neanche l’ignaro re degli ignari. Colui che non conosceva il coinquilino dell’associazione Lombardia-Russia che aveva l’ufficio nella porta accanto, dei traffici in Sicilia del fido Arata, dei rapporti con interessati mafiosi siciliani intrattenuti dal fedelissimo Siri, docente di “politica” nella sedicente scuola della Lega.
Il re è nudo, e questo non è soltanto il twittatore compulsivo che un post su due sta diffamando qualcuno o incitando all’odio squadrista con i suoi fatidici “bacioni” oppure ancora sta facendo spoiler su operazioni delle Procure ancora in corso, magari mandandole in malora. No. C’è anche l’altro re nudo. Quello che ormai non può più fingere di essere il “cambiamento” perché dopo aver salvato l’alleato forte da un processo lo sta adesso salvando da una ineludibile opportuna richiesta di dimissioni. Perché, come dicevano una volta i “grillini”: non può stare al Governo una persona sulla quale pende il dubbio che agisce contro gli interessi del Paese invece che in favore. Ecco infatti che il M5S di oggi diventa semplicemente l’alleato di Governo del centrodestra. L’alleato indiretto di Berlusconi, già coinvolto con la mafia come evidenziato dalle sentenze definitive che hanno condannato suoi fedeli luogotenenti come Dell’Utri. L’alleato indiretto dei novelli fascisti di Fratelli d’Italia, già di origini missine ed oggi propagatori di idiozie un tanto al chilo come quella del blocco navale e dell’affondamento delle navi Ong. Questo è il Governo attuale: un esecutivo che prevede un milione e mezzo di euro per agenti stranieri sotto copertura per incastrare chi salva vite in mare mentre un mafioso, sodale di chi ha ucciso i due bambini di Vittoria, è proprietario dell’agenzia di onoranze funebri che si occupa del loro funerale. Una cerimonia funebre che vale quasi quanto un doppio omicidio dei due piccoli innocenti. Ma almeno al mafioso in gabbia arriva puntuale l’affitto che lo Stato paga per il commissariato di Polizia che sorge nel suo edificio sporco di sangue e droga.
Commenta per primo