di Mauro Seminara
Il ministro dell’Interno Matteo Salvini ha amministrato il Viminale seguendo quale unica linea politica quella della propaganda. In virtù di tale fondamentale principio ha sempre sottoposto ad inutile tortura i profughi soccorsi dalle navi Ong. Persone costrette a bordo delle navi soccorritrici per settimane, ma che alla fine, come l’omologo tedesco aveva detto a Salvini in uno dai rari casi in cui il ministro italiano si era recato in Unione europea per lavorare, tutte sono approdate e tutti i profughi sono sbarcati. L’ultimo capriccio del Viminale, mentre il ministro uscente twittava di dipendenti ministeriali che piangevano per la sua prematura dipartita politica, è stato l’autorizzare un trasbordo finalizzato allo sbarco a Lampedusa dei soli “vulnerabili” presenti sulla nave Ong italiana Mare Jonio. La stessa nave diffamata – come le altre delle Ong – dal ministro Salvini per la sua presunta complicità con i trafficanti libici o per violare le leggi italiane ma che, dopo ripetuti sequestri, è stata sempre dissequestrata perché di fatto si è sempre attenuta con scrupolo alle leggi internazionali con cui i decreti – poi leggi – di Salvini si scontrano. Come nel caso della Open Arms, dissequestrata ieri con una disposizione del Gip che prevede adesso indagini a carico di pubblici ufficiali – e ministri – per le ipotesi di abuso di potere, negligenza, sequestro di persona.
L’ultimo capriccio, raccapricciante, del Viminale, è stato disporre lo sbarco di donne e bambini dalla Open Arms. Un’operazione condotta dalla Guardia Costiera italiana, per fortuna. La perizia e l’esperienza dell’equipaggio, coadiuvato dai soccorritori sub della stessa Guardia Costiera, dai medici del CISOM e con a bordo la presenza di un rappresentante dell’OIM, ha permesso che nulla accadesse a quei bambini urlanti durante un trasbordo iniziato alle dieci di ieri sera con mare agitato e imbarcazioni abbordate da far coincidere nelle escursioni di altalenanza. Una operazione assurda condotta a circa 14 miglia dal porto di Lampedusa, in mare aperto, perché i ministri Salvini, Trenta e Toninelli hanno firmato – prima di lasciare i loro incarichi – il divieto interdittivo per la nave battente bandiera italiana
Una vicenda miserabile con cui il ministro dell’odio razziale e della guerra agli ultimi della Terra conclude la propria breve e meschina carriera da titolare del Viminale. A bordo della nave Ong rimangono così 34 persone che sono fuggite, fortunatamente e senza annegare nel Mediterraneo centrale, dalla Libia in cui le bombe uccidono i migranti detenuti nei loro lager e che hanno visto – così hanno raccontato ai loro soccorritori – sei loro compagna di sventura finire in mare, ingoiati dai flussi del Mar Mediterraneo che ormai è il cimitero liquido più grande del pianeta. Queste 34 persone rimarranno a bordo, tra onde alte che li costringe a vomitare e vestiti rifiuti maleodoranti che includono resti organici, vomito, indumenti intrisi di benzina ed urina. Ci resteranno, sul ponte della Mare Jonio, fino a quando i medici che la Guardia Costiera accompagna a bordo ogni giorno – con enorme ed inutile spreco di risorse pubbliche e rischi per guardacoste e profughi – non accerteranno gli estremi per disporre una urgente evacuazione medica. Il solito stillicidio, già visto con la stessa Mare Jonio, con la Sea Watch 3 e con la Open Arms. Alla fine, quindi, sbarcheranno tutti. Ma soltanto dopo le ultime torture fisiche e psicologiche cui li ha sottoposti il ministro dell’Interno italiano Matteo Salvini che ha finalmente salutato i suoi dipendenti al dicastero. Quei dipendenti che ha visto solo, e forse, per una trentina o più giorni su otto mesi di ministero; impegnato com’era tra dirette streaming, campagne elettorali in piazze e spiagge con i “beach tour”, e mojito al Papeete. E mentre il ministro giocava a fare l’uomo forte al comando, sequestrando – come più volte ipotizzato da Procure della Repubblica italiana – profughi, volontari di Ong e marinai della Guardia Costiera italiana, dalla Tunisia continuavano ad arrivare harragas poi lasciati dal Viminale a Lampedusa perché combinassero guai, profughi dalla Libia esausti che con un vecchio e precario legno caricato di 78 persone giungevano fino all’isola pelagica italiana e altri che venivano soccorsi da Malta perché comunque più fortunati di quelli ripresi dai “guardacoste” libici e ricondotti nei lager nordafricani. Infine ci sono quelli annegati grazie alla politica dei porti chiusi e della competenza SAR della Libia.
La nota della Ong Mediterranea Saving Humans di questa mattina:
<<Questa mattina alle 9, il personale sanitario di bordo della Mare Jonio ha inviato alle autorità competenti una nuova richiesta urgente di entrata in porto della nave, a causa del rischio di emergenza igienico-sanitaria.
In particolare, a destare allarme è la mancanza di acqua destinata a uso igienico e alle altre necessità di bordo, mancanza che si protrae da ormai 40 ore e di cui le autorità sono informate già dalle prime ore di ieri mattina.
Sottolineiamo che questa emergenza non può evidentemente essere risolta con il semplice invio di bottiglie di acqua.
Desta allarme inoltre la presenza a bordo di rifiuti derivanti dal salvataggio e dalla permanenza a bordo dei naufraghi (come i vestiti impregnati di benzina e di deiezioni): il rischio di malattie comunitarie è aggravato dalla mancanza d’acqua, con conseguenti possibili danni per la salute di naufraghi ed equipaggio.>>
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