di Mauro Seminara
L’ex ministro dell’Interno privò della libertà personale 131 persone mentre si trovavano a bordo della nave Gregoretti della Guardia Costiera italiana. Secondo quanto pubblicato dal Corriere della Sera, Matteo lo avrebbe fatto “abusando dei suoi poteri” alle “00,35 del 27 luglio 2019”. Sono informazioni che il quotidiano milanese pubblica in esclusiva ed estratte dalle motivazioni con cui il Tribunale dei ministri di Catania riconosce le accuse e chiede l’autorizzazione a procedere contro l’ex ministro dell’Interno. La vicenda giudiziaria, di cui il Corriere ha reso nota una parte delle motivazioni, era già pubblica per merito dello stesso segretario della Lega su cui adesso sembra stringersi il cerchio della magistratura italiana. Un cerchio che non riguarda una sola Procura della Repubblica ma varie e per diversi reati. Pendono infatti sul capo del leader leghista le denunce per diffamazione di Carola Rackete, la capitana della Sea Watch 3, e della sorella di Stefano Cucchi. Ma ci sono anche le indagini sul peculato per uso improprio dei voli di Stato, il vilipendio alla magistratura, i vari sequestri di persona della propaganda sui porti chiusi e le inchieste ancora più gravi e pesanti sulla sottrazione di 49 milioni di euro di fondi pubblici – al tempo in cui Salvini non era ancora segretario del partito ma di cui deve comunque rispondere – e sul caso “Russiagate” che vede primo imputato il suo storico mentore Savoini, al quale è stato il ricorso sul sequestro di telefono e computer.
Matteo Salvini se ne era uscito con una delle sue nel corso della trasmissione televisiva “Fuori dal coro”, il noto programma di casa dell’estrema destra italiana condotto da Mario Giordano. Nel corso del programma, all’interno di una sceneggiata tombola con commensali che mangiano mentre il conduttore finge di intervistare l’ex ministro su legittima difesa ed altri temi inadatti a farse televisive, Salvini aveva tirato fuori il documento per darvi lettura in esclusiva Tv: “Viene trasmesso al presidente del Senato, e quindi il Senato si dovrà esprimere, perché Matteo Salvini sarebbe colpevole di reato di sequestro di persona aggravato, articolo 605 del Codice Penale, per avere nella sua qualità di ministro dell’Interno, abusando dei suoi poteri, privato della libertà personale 131 migranti a bordo della nave Gregoretti lo scorso 27 luglio…ecc“.
I toni tipici da programma di Mario Giordano e dell’ex ministro non si limitano all’intervista tombola con comparse a tavola. Il segretario della Lega, con l’atto di notifica in mano, procede nella lettura con il rispetto che si conviene definendo quello che segue “tutto il pippone”. Così definito, ciò che Salvini legge altro non è che il dettaglio per cui il leghista rischia fino a 15 anni di carcere. Alla domanda su quante altre accuse di sequestro di persona aveva già ricevuto, Salvini aveva risposto ricordando il lungo elenco della sua prestigiosa carriera: “Si, ho abuso d’ufficio, vilipendio, istigazione a delinquere, diffamazione, istigazione all’odio razziale. Questo è il più grave però. Sequestro di persona, reiterato, con l’aggravante di essere stato commesso in danno di minori di età, potrebbe comportare in caso di condanna fino a 15 anni di carcere”.
L’ex ministro ritiene “che sia una vergogna che un ministro che ha difeso i confini e la sicurezza del suo Paese possa essere processato per aver fatto l’interesse del suo Paese“. E sulla chiusura della frase era poi scattato l’applauso d’ufficio all’eroe dei tempi nostri. Chiaramente non era passato neanche per un attimo nel cervello di Mario Giordano chiede se per Matteo Salvini sequestrare persone non ancora identificate sia un crimine giustificato da chissà quale interesse nazionale da difendere. Matteo Salvini si è perfino chiesto, con la rinomata arroganza che lo contraddistingue, quanto costerà al popolo italiano l’inchiesta che lo vede indagato per un crimine che la legge prevede di punire con una pena che può arrivare a 15 anni di carcere. Secondo l’ex ministro, la magistratura non si dovrebbe occupare di lui e, ancor più grave idea, non si dovrebbe occupare dei crimini che in abuso di funzione commettono i politici.
“Se il Senato dirà che Salvini va processato, io andrò tranquillamente a processo”, aveva affermato il segretario della Lega precisando che di solito i politici vanno a processo per altro. Perché per Salvini, i giudici dovrebbero occuparsi di stupri e rapine e non dei possibili plateali crimini commessi da un ministro che “ha fatto quello che gli italiani gli chiedevano di fare”. Altro applauso da curva leghista in studio, mentre Salvini insiste che questa è “una vergogna”. La Procura è quella di Catania, cioè la stessa che Salvini vantava per lo zelo del procuratore capo Carmelo Zuccaro. La farsa proseguiva poi con l’immancabile citazione di Carola Rackete che, a detta del già querelato per diffamazione Salvni, “ha speronato una motovedetta con cinque militari a bordo“. Anche su questo, ormai irrimediabilmente vittima della sua stessa propaganda, l’ex ministro richiama i soliti termini da diffamazione, compreso l’uso improprio della parola “speronare”.
I due showman, Giordano e Salvini, alludono in modo palese al sospetto che ci sia una persecuzione politica ordita dalla magistratura contro il patriota leghista che dichiara di andare “tranquillamente” a processo nel caso di rinvio a giudizio ma che già nel caso precedente ed analogo – nave Diciotti della Guardia Costiera – aveva fatto di tutto per evitare l’aula del Tribunale avvalendosi dell’immunità parlamentare in qualità di senatore. Ed in quell’occasione, a salvarlo dal processo era stato il Movimento 5 Stelle, al tempo alleato di governo prima che lo stesso Salvini aprisse ad agosto la crisi causando il governo Conte bis in cui il suo posto al Viminale lo prese Luciana Lamorgese. Ed al Movimento 5 Stelle ha oggi lanciato il suo chiaro messaggio il leader leghista ed ex alleato Matteo Salvini dicendosi “curioso di vedere che posizione terrà il Movimento 5 Stelle che sulla vicenda analoga della Nave Diciotti votò contro la richiesta del Tribunale dei ministri”.
Nel caso citato dallo stesso Salvini, sotto pressione da crisi di governo, il Movimento capitanato – almeno formalmente – da Luigi Di Maio aveva sventrato un altro dei suoi sacri dogmi difendendo l’alleato fino al punto di fare harakiri con una memoria difensiva per la Giunta per le immunità in cui il presidente del Consiglio, il vicepremier Luigi Di Maio ed il ministro dei Trasporti Danilo Toninelli, si assumevano la corresponsabilità dell’ipotetico reato di sequestro aggravato. Adesso Salvini non è più ministro ed il Movimento 5 Stelle non è più alleato di governo, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte non perde occasione per denigrare l’ex vicepremier, ma il “capo politico” del Movimento 5 Stelle non si risparmia nel manifestare vicinanza alla Lega, anche a costo di perdere tutte le elezioni regionali e locali italiane.
I pentastellati si trovano quindi nella posizione di poter lasciare che la magistratura sottoponga a processo Salvini, ma dovrebbero fare dietrofront sulla corresponsabilità di governo assunta al tempo di nave Diciotti. Potrebbero assestare un duro colpo alla Lega, decapitandola con il processo al suo irrefrenabile leader, ma dovrebbero poi arrendersi ad una reale autonomia a 5 Stelle senza il partner ideale che è la Lega. E su questo è chiaro che ci saranno gravi dubbi anche per quel che riguarda l’autonomia dei senatori pentastellati in Giunta per le immunità. Il Movimento 5 Stelle è infatti il partito che ha espulso tutti i suoi dissidenti, incluso il senatore Gregorio De Falco, per ogni singolo voto contrario alla decisione del vertice ad eccezione di uno. Gianluigi Paragone, storico conduttore radiotelevisivo leghista, eletto con il Movimento 5 Stelle, si era rifiutato di votare la fiducia al governo Conte bis dopo il suicidio politico ferragostano di Matteo Salvini, ma non è stato espulso dai “probiviri” che nel suo singolo caso hanno fatto una inspiegabile eccezione. Ci si attende un altro voto su Rousseau per l’immunità di Salvini, ma non è detto che Conte non inciderà sull’esito con la sua personale presa di posizione.
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