di Fulvio Vassallo Paleologo
Mercoledì 12 febbraio il Senato si è pronunciato sulla richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti del senatore Salvini sul caso del blocco dello sbarco dei naufraghi soccorsi nell’estate del 2019 dalla nave Gregoretti della Marina militare italiana. La ventata propagandistca che ha caratterizzato la procedura di richiesta alla Giunta per l’ autorizzazione a procedere a carico del senatore Matteo Salvini conclusa con il voto del Senato ha offuscato le ragioni di fondo e lo stesso svolgimento dei fatti sui quali il Tribunale dei ministri di Catania, malgrado la istanza di archiviazione del procuratore Zuccaro, aveva richiesto di proseguire il processo nei suoi confronti.
Le motivazioni addotte dall’ex ministro dell’interno nel corso del dibattito in Giunta, e poi le sue dichiarazioni di ieri, nelle quali si dichiara vittima di un “aggressione politica”, puntano interamente sul consenso che la sua scelta ha riscosso tra gli elettori, e sulla doverosità della “difesa dei confini nazionali” ed addirittura della “Patria” rispetto allo sbarco dei naufraghi soccorsi in mare dalla nave della Marina Militare italiana Gregoretti, tenuta per giorni all’ormeggio nel porto di Augusta (Siracusa) con il divieto, imposto dallo stesso Salvini, di fare sbarcare a terra le persone che si trovavano a bordo, inclusi i minori non accompagnati ed altri soggetti in condizione di forte vulnerabilità. L’ex titolare del Viminale, insiste anche sulla natura collegiale del divieto di sbarco adottato nei confronti della Gregoretti, “la difesa della Patria è un sacro dovere, ritengo di aver difeso la mia Patria, non chiedo un premio per questo ma se ci deve essere un processo che ci sia. In quell’Aula non andrò a difendermi, ma a rivendicare quello che, non da solo, ma collegialmente abbiamo fatto”.
La valutazione della corresponsabilità di altri ministri da parte della Giunta per le autorizzazioni a procedere non può sovrapporsi alla valutazione dell’autorità giudiziaria, ed alla successiva verifica processuale, restando riservata alla giunta soltanto la mera valutazione di un interesse pubblico, in quanto più precisamente la stessa Giunta può “negare l’autorizzazione a procedere ove reputi, con valutazione insindacabile, che l’inquisito abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell’esercizio della funzione di governo” ( art. 9, comma 3, legge Costituzionale 16 gennaio 1989, n.1). Una valutazione che non dipende certo dalla collegialità dell’attività del governo, che comunque può ben radicare, ma solo nella competente sede giurisdizionale, la configurazione di ipotesi di concorso nel reato. Non si può comunque qualificare come vicenda relativa al recupero in mare dei migranti della nave “Gregoretti”, la distinta fase della trattativa intercorsa tra il governo italiano, autorità di altri Stati e la stessa Commissione Europea al fine di ottenere il trasferimento e l’accoglienza dei naufraghi in altri paesi europei, una trattativa che poteva (anzi, doveva) svilupparsi una volta sbarcati a terra in un porto sicuro italiano.
Dopo una manovra tattica cavalcata in Senato dalla Lega per sfruttare in occasione delle elezioni regionali in Calabria ed in Emilia e Romagna la messa in stato di accusa dell’ex ministro dell’Interno, è stata sconfitta quindi la tesi della insindacabilità delle scelte “politiche” di Salvini che aveva impedito per giorni lo sbarco dei naufraghi a bordo della Gregoretti, già ormeggiata nel porto industriale di Augusta (Siracusa) al dichiarato fine di costringere gli Stati europei ad accettare la redistribuzione dei naufraghi.
Il richiamo alle attività della Rappresentanza permanente dell’Italia presso l’Unione Europea , la disponibilità offerta da cinque stati europei soltanto cinque giorni dopo il soccorso in acque internazionali, e l’esistenza di una richiesta formale in data 26 luglio 2019 da parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri perchè alcuni Stati europei accogliessero una parte dei naufraghi, come la successiva riunione di “coordinamento” convocata il 2 agosto 2019 dalla Commissione europea tra gli Stati che avevano offerto una qualche disponibilità, non possono costituire ragioni per attribuire all’intero governo la responsabilità invece propria dell’allora ministro dell’interno. Che impediva lo sbarco in un porto sicuro, in aperta violazione non solo del diritto internazionale, ampiamente richiamato dai giudici del Tribunale dei ministri, ma dello stesso diritto interno, sia sotto il profilo del mancato rispetto delle procedure di sbarco imposte dall’art. 10 comma 3 del Testo Unico sull’immigrazione n.286/98, e per quanto concerne i minori non accompagnati dalla legge n.47/2017, che delle norme cogenti a tutela della libertà personale, presidiate, in caso di violazione, dalla previsione del reato di sequestro di persona da parte del pubblico ufficiale.
Coloro che con grande superficialità escludono già oggi la possibilità di configurare il reato di sequestro di persona nel caso della indebita privazione della libertà personale subita dai naufraghi trattenuti per giorni a bordo della nave militare Gregoretti, farebbero forse meglio a ricordare la portata del reato di sequestro di persona nelle applicazioni della giurisprudenza.
Il principio di riserva assoluta di legge, ribadito dall’art.13 della Costituzione italiana in materia di libertà personale, costituisce un principio fondamentale dell’assetto democratico previsto dalla Costituzione. Secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione, “L’elemento oggettivo del delitto di sequestro di persona consiste nella privazione della libertà personale intesa come libertà di muoversi nello spazio e cioè come libertà di locomozione. Non è necessario, a tal fine, che la privazione sia totale, ma è sufficiente che il soggetto passivo non sia in grado di vincere, per realizzare la sua piena libertà di movimento, gli ostacoli frapposti né ha rilevanza la maggiore o minore durata di tale privazione” (v. Cass. Pen., sez. I, n. 18186/2009 ).
Per quanto attiene al profilo soggettivo, il reato di sequestro di persona previsto dall’art. 605 del Codice Penale richiede, secondo la prevalente giurisprudenza, soltanto il “dolo generico”, dunque la consapevolezza e la volontà di limitare illegittimamente la libertà personale. Nel caso in esame il prolungato trattenimento dei naufraghi a bordo della nave Gregoretti non trovava fondamento in una specifica previsione legislativa, ma si basava soltanto sulla mera volontà del ministro dell’Interno che, in diverse dichiarazioni, affermava che non avrebbe indicato un porto di sbarco in Italia fino a quando non fossero arrivati da altri Stati europei impegni precisi in ordine al ritrasferimento dei naufraghi verso questi Stati. Non rientrava nei poteri legittimamente attribuiti al ministro dell’Interno il potere di vietare lo sbarco di naufraghi da una nave militare già ormeggiata in acque territoriali, come la Gregoretti, considerando che comunque ad una nave da guerra, che già costituisce territorio dello Stato, non risultava applicabile il decreto sicurezza bis (n.53/2019), varato dal governo nel mese di giugno del 2019. L’esercizio di poteri limitativi della libertà personale da parte del pubblico ufficiale si giustifica soltanto nei rigorosi limiti stabiliti dall’art. 13 della Costituzione italiana e dunque nella stretta osservanza del principio di legalità. Nel caso del divieto di sbarco imposto lo scorso anno alla nave Gregoretti già ormeggiata ad Augusta (Siracusa) non si riscontra alcuna base legale a fondamento della determinazione personale del ministro dell’Interno. Il fine perseguito non può mai giustificare i mezzi, a maggior ragione nel caso dei poteri esercitati da un pubblico ufficiale in ordine alla limitazione della libertà personale.
La “Memoria del Senatore Matteo Salvini per la Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari”, costituisce un chiaro esempio della sovversione della realtà e dello scarso rispetto dello stato di diritto, basato sulla Costituzione, da parte dell’ex ministro dell’Interno, che dopo avere sostenuto per mesi di volere “chiudere i porti”, rilancia adesso la sua campagna elettorale permanente promettendo che, se tornerà al governo, riuscirà addirittura a “sigillare” i porti, reiterando tutte le condotte che nel tempo gli sono state contestate da diverse procure. Come se il largo consenso elettorale di cui continua a godere potesse avere il sopravvento sul rispetto delle fonti normative interne e sovranazionali, oltre che dei principi affermati dalla Costituzione italiana.
Come scrive Luigi Ferrajoli, “deve pur esserci un giudice capace, per la sua indipendenza, di assolvere un cittadino in mancanza di prove della sua colpevolezza, anche quando il popolo sovrano o la maggioranza della pubblica opinione ne chiedono la condanna, e di condannarlo in presenza di prove quando i medesimi poteri ne pretendono l’assoluzione”. In nessun caso dunque il consenso elettorale può legittimare scelte in contrasto con il principio di legalità e con il rispetto dei diritti fondamentali delle persone, sanciti dalla Costituzione e dalle Convenzioni internazionali.
La nave Gregoretti aveva preso a bordo i 50 migranti che erano stati soccorsi da un peschereccio, dedito ad attività di pesca, l’ “Accursio Giarratano”, e altri 91 erano stati salvati invece da un pattugliatore della Guardia di Finanza. Entrambi gli interventi erano avvenuti in acque SAR (Ricerca e Soccorso) maltesi. In quella occasione le affermazioni di Salvini erano inequivocabili. «Ho dato disposizione – avvertiva nella mattinata del 26 luglio 2019 il ministro dell’Interno – che non venga assegnato nessun porto prima che ci sia sulla carta una redistribuzione in tutta Europa di tutti i 140 migranti a bordo»
Un comunicato della Guardia Costiera italiana, reso noto il 28 luglio, apriva uno spiraglio di luce, dopo un lungo periodo di silenzi stampa, sugli sviluppi della guerra contro i soccorsi in mare ingaggiata dal titolare pro-tempore del Vimimale nel corso del 2019, per dimostrare al suo elettorato l’efficacia dell’azione di contrasto contro l’immigrazione “illegale”. Una guerra a colpi di direttive ministeriali e decreti legge, che, dopo essere stata diretta contro le navi umanitarie delle ONG, ha coinvolto anche unità navali appartenenti a corpi dello Stato.
“Il giorno 25 luglio diversi gommoni carichi di migranti hanno lasciato la Libia per dirigersi verso le coste europee. Tre sono stati soccorsi dalla guardia costiera libica, intervenuta anche sul barcone affondato al largo di Al Khoms mentre altri tre hanno proseguito la navigazione entrando all’interno della zona di SAR maltese. Le autorità de La Valletta hanno soccorso un gommone con circa 100 migranti e richiesto nel contempo collaborazione all’Italia che ha inviato – su indicazioni del Ministero dell’Interno – due motovedette, della Guardia Costiera e della Guardia di Finanza, che hanno assistito 141 naufraghi. Successivamente 6 migranti per ragioni sanitarie sono stati portati sull’isola di Lampedusa.”
A questo punto, spiega la nota stampa del Comando Generale delle Capitanerie di Porto, le motovedette intervenute hanno “trasbordato i rimanenti 135 migranti su Nave Gregoretti della Guardia Costiera dotata di un team medico del Cisom in grado di assistere adeguatamente i naufraghi in attesa di indicazioni relative al successivo trasferimento verso un place of safety”. …” Il primo porto che la CP920 ha raggiunto, Catania, è stato deciso “in previsione del peggioramento delle condizioni meteo la nave ha poi assunto rotta verso la Sicilia Orientale”. A Catania, spiegano dal Comando, la Gregoretti era stata rifornita di viveri e medicinali. Ma pare che il porto di Catania non fosse abbastanza al riparo dalle avverse condizioni meteo marine – stando al comunicato stampa – per fermarvi ben ormeggiata la Gregoretti. Una spiegazione che non convince affatto, anche alla luce dei bollettini meteo di quelle ore.
Secondo lo stesso comunicato della Guardia costiera italiana:
“nella serata di ieri, (27 luglio 2019, n.d.a.) allo scopo di consentire riparo dal peggioramento delle condimeteo in zona è stato disposto a Nave Gregoretti, su concorde parere del Ministro Toninelli e previa informazione al Viminale, di dirigere verso il porto di Augusta dove l’unità è giunta intorno alle ore 03:00 di questa mattina”
La disponibilità, resa nota dal governo tedesco, non ha certo interferito con le decisioni dell’ex ministro Salvini, mosso esclusivamente da una finalità propagandistica, che ha mantenuto indebitamente per altri tre giorni i naufraghi a bordo della Gregoretti, minori compresi, cedendo sullo sbarco dei minori solo di fronte al rischio sempre più concreto, dopo 4 giorni (96 ore) di indebito trattenimento, di altre denunce penali per la violazione della legge n.47 del 2017 e dell’art.13 della Costituzione italiana che impone la convalida giurisdizionale di tutte le misure che, a qualsiasi titolo, siano limitative della libertà personale.
Come è stato rilevato da giornalisti, politici e giuristi di diversa estrazione, le giustificazioni fornite dal senatore Matteo Salvini a fondamento delle sue decisioni di non autorizzare lo sbarco dalla Gregoretti, nel porto sicuro più vicino, dei naufraghi, soccorsi in diverse occasioni da una pluralità di mezzi operanti in attività SAR ( Search and rescue) nelle acque internazionali del Mediterraneo Centrale, non reggono né dal punto di vista del rispetto delle fonti normative, né in considerazione del ricorrente tentativo di scaricare la propria responsabilità ministeriale sul Governo nel suo complesso.
Mentre numerosi procedimenti aperti contro le ONG si concludevano con richieste di archiviazione, da ultimo nel caso della nave Mare Jonio ad Agrigento, aumentavano le denunce ed i procedimenti penali aperti a carico dell’ex ministro dell’Interno Salvini per omessa indicazione di un porto di sbarco sicuro e per la conseguente indebita privazione della libertà personale dei naufraghi intrappolati a bordo delle navi soccorritrici dopo essere stati soccorsi in alto mare.
Nel caso Vos Thalassa/Diciotti, di fronte ad un divieto di ingresso in porto frapposto dal Viminale, Di Maio, allora ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico e vicepresidente del Consiglio, ha espresso una posizione che appare di rilievo anche rispetto al recente caso Gregoretti. In un intervento alla trasmissione televisiva Omnibus su La7, mentre la nave Diciotti restava al largo del porto di Trapani, dopo avere preso a bordo i naufraghi soccorsi dal rimorchiatore Vos Thalassa, affermava che “non è immaginabile chiudere l’ingresso a una nave italiana” ed aggiungeva che “se si tratta di una nave italiana, che è intervenuta in una situazione che dovremmo chiarire, bisogna necessariamente farla sbarcare”.
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