di Vittorio Alessandro
Per nulla rassicurante l’assenza del governo, e del premier soprattutto, al voto in Senato sul caso Gregoretti. Arriva infatti agli italiani il segno che il presidente Conte lasci il palcoscenico ai vincitori del momento, come fece quando il rutilante Salvini tutto poteva, facendo e sfacendo come si trattasse di affari suoi e della sua cricca. Qualcuno scambia tale ignavia per tattica di grande caratura democristiana, ma andate a vedere se fossero così ti vedo e non ti vedo i Moro, i Fanfani, i Donat-Cattin.
Del pari non rassicurano le grida di scherno che si levavano dai banchi della sinistra mentre Salvini parlava: i toni mascellari intervallati dal richiamo sentimentale ai figli sono stati veramente laidi, ma chi si difende ha diritto al rispetto di tutti, chiunque sia e qualunque cosa egli dica: molto meglio se i verbali del Senato riportassero oggi “mormorii e dissensi della sinistra”, piuttosto che “proteste e risate”.
Bazzecole, forse. Eppure la politica è fatta anche (soprattutto?) di queste cose e c’è chi perciò se ne allontana oppure si incarognisce perché questa ormai è la regola. Per poi, senza capirci più nulla, lasciarsi andare alla certezza che con Salvini, almeno, si dormiva con le porte aperte e i treni arrivavano in orario.
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