Il principio della fine dei diritti umani: Palestina libera

Tutte le Nazioni del mondo si ritrovavano attorno ad una Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo che avrebbe dovuto costituire un argine contro il rischio che i fantasmi della dittatura e della guerra potessero ritornare. La Palestina è stata il primo territorio nel quale si è sperimentato come i diritti umani proclamati potessero essere violati impunemente in base ai rapporti di forza tra gli Stati

di Fulvio Vassallo Paleologo

In principio, era la fine della seconda guerra mondiale e tutte le Nazioni del mondo si ritrovavano attorno ad una Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo che avrebbe dovuto costituire un argine contro il rischio che i fantasmi della dittatura e della guerra potessero ritornare.

La Palestina è stata il primo territorio nel quale si è sperimentato come i diritti umani proclamati dalle Convenzioni internazionali e dalle Carte costituzionali potessero essere violati impunemente in base ai rapporti di forza tra gli stati, ed agli interessi economici delle multinazionali più grandi. Dalla guerra fredda alla globalizzazione nessun popolo ha subito una serie tanto rilevante di violazioni dei deliberati delle Nazioni Unite, inflitte dallo stato di Israele, e coperte dagli Stati Uniti. Gli uomini di pace come Rabin, che pure all’interno di Israele si erano battuti per una prospettiva di pace, non sono stati sconfitti politicamente ma uccisi con le armi in attentati che hanno segnato la vittoria dei metodi terroristici per modificare le linee di governo e la natura stessa di uno Stato.

Le violazioni dei diritti umani in Israele, ai danni del popolo palestinese, sono state nascoste da chi ha professato una finta equidistanza, e poi supportate da chi ha avallato la politica israeliana della “soluzione finale”, della liquidazione di qualunque prospettiva di rilevanza politica della Palestina, e dei rappresentanti del popolo palestinese, sia nei territori occupati che nelle città che restavano autonome. Il processo di pace che aveva suscitato tante speranze è ormai sepolto, rimane solo la prospettiva di una dittatura militare sulla popolazione palestinese esercitata da uno Stato che si continua a dichiarare “democratico”.

Sono decenni che la pratica degli arresti arbitrari, della tortura anche ai danni di minori, della violenza istituzionale, caratterizza sia le fasi di tregua che i momenti di conflitto più acuto, quando si spara da entrambe le parti. Ma la violenza non è simmetrica, sia per la intensità di fuoco che per le ragioni che vi stanno dietro. Da una parte si continua a violare impunemente quanto deciso nei documenti adottati dalle Nazioni Unite, dall’altra si rimane impigliati in un reticolo di alleanze fluttuanti condizionate dalle opportunità economiche e dagli interessi geo-politici del momento. Le divisioni nel mondo arabo allontanano le prospettive di pace.

In una fase di crisi del multilateralismo, prevale, non solo in Israele, la logica dei muri e del diritto del più forte. Un diritto che nega la stessa dignità umana dei popoli oppressi, ai quali si possono applicare i trattamenti più crudeli senza rischiare alcuna sanzione internazionale. I veti incrociati in Consiglio di Sicurezza allontanano i rischi di una condanna internazionale.

Quanto avviene in Israele costituisce l’archetipo della “apartheid che oggi segna tragicamente la comunità nordamericana, ma che è diventata una pratica diffusa a livello globale, se solo si considera il comportamento degli Stati europei nei confronti degli immigrati, e la portata discriminatoria degli accordi con i paesi terzi, che negano qualunque tutela ai diritti fondamentali delle persone, riducendole al rango di esseri inferiori, sui quali sembra possibile esercitare ogni forma di violenza senza subire alcuna condanna.

Rivendicare diritti per la Palestina libera, come chiedere la garanzia effettiva per il diritto di autodeterminazione dei popoli, significa chiedere l’abbattimento dei muri che uccidono, dei muri di terra, come quello che Israele ha edificato all’interno del suo stesso territorio, e come quello che gli Stati Uniti di Trump hanno costruito al confine con il Messico. Ma significa anche chiedere la rimozione dei “muri di acqua” che si vorrebbero imporre con i respingimenti collettivi e con le prassi di abbandono in mare. Tra le coste turche e quelle greche stanno anche provando a disporre a filo d’acqua delle barriere galleggianti per impedire l’attraversamento delle imbarcazioni più piccole, quelle su cui si giocano la vita i migranti in fuga dai conflitti in Irak, in Siria, in Afghanistan. Sotto gli occhi degli agenti europei di FRONTEX si intercetta e si respinge, quando non si affonda.

Rivendicare diritti per la Palestina libera significa chiedere che nel Mediterraneo ritorni la pace, che nelle sue acque vi sia libertà di navigazione, da Lesvos a Zawia fino ad Algeciras, come per i pescatori palestinesi, per i migranti in fuga da guerre e povertà estrema, che la pandemia da Cobid 19 sta diffondendo anche in quelle regioni del sud del mondo in cui fino a poco tempo fa si poteva almeno lottare per la sopravvivenza.

Dopo i metodi sperimentati dalla polizia israeliana su tutti gli oppositori politici e sul popolo palestinese, vediamo che oggi tutte le forze di polizia del mondo adottano tecniche violente di arresto delle persone con modelli di contenzione analoghi che stanno comportando un numero crescente di vittime. Anche la detenzione in incommunicado, ad arbitrio delle forze di polizia, è una pratica tollerata dalle Nazioni Unite e dalla comunità internazionale nel caso di Israele, ed ormai diffusa in tutto il mondo, anche nei paesi che si proclamano democratici. Gli arresti violenti che portano alla morte degli arrestati non si verificano solo negli Stati Uniti ma anche in Europa, come in Italiain Francia ed in altri stati della “civile” Unione Europea. In molti paesi con i quali si mantengono floridi rapporti commerciali, come l’Egitto e la Turchia, anche i controlli giurisdizionali sono addomesticati e orientati a confermare sempre le decisioni e le violenze praticate dalla polizia.

Come documenta il Rapporto 2019-20 di Amnesty International “Le forze di sicurezza israeliane hanno ucciso 38 palestinesi, tra cui 11 minori, durante le manifestazioni lungo la Striscia di Gaza e in Cisgiordania; molti di loro sono stati uccisi illegalmente, perché non stavano rappresentando alcuna minaccia. Israele ha fallito nell’assicurare le responsabilità e risarcimenti per le vittime di questa gravissima violazione del diritto umanitario internazionale e della legislazione internazionale sui diritti umani. Attacchi aerei israeliani e bombardamenti nella Striscia di Gaza hanno ucciso 28 civili palestinesi che non partecipavano direttamente alle ostilità, tra cui 10 minori. Israele ha mantenuto il suo blocco illegale sulla Striscia di Gaza, sottoponendo i suoi abitanti a punizioni collettive e intensificando la crisi umanitaria. Ha continuato a limitare la libera circolazione dei palestinesi negli Opt attraverso posti di blocco e blocchi stradali. Le autorità israeliane hanno arrestato illegalmente in Israele migliaia di palestinesi degli Opt, trattenendone centinaia in detenzione amministrativa senza accuse né processo. La tortura e altri maltrattamenti dei detenuti, tra cui minori, sono stati commessi con impunità. Riportiamo i passaggi salienti di questo ultimo rapporto.

“Israele ha sfollato oltre 900 palestinesi in Cisgiordania a seguito di demolizioni abitative. Le autorità hanno impiegato una serie di misure atte a colpire i difensori dei diritti umani, giornalisti e altri che hanno criticato il proseguimento dell’occupazione israeliana della Cisgiordania, della Striscia di Gaza e delle alture del Golan siriane. Le autorità hanno negato ai richiedenti asilo l’accesso a un processo di determinazione dello status di rifugiato equo o rapido. Gli obiettori di coscienza al servizio militare sono stati incarcerati.

Israele ha continuato a espandere insediamenti illegali e le relative infrastrutture nella Cisgiordania occupata, inclusa Gerusalemme est, legalizzando gli avamposti costruiti senza autorizzazione statale israeliana, anche su terre private palestinesi. Il 19 novembre, il governo degli Usa ha annunciato che non avrebbe considerato gli insediamenti israeliani in Cisgiordania illegali ai sensi del diritto internazionale. Il 25 marzo (2019), il presidente degli Usa Donald Trump aveva riconosciuto la sovranità di Israele sulle alture del Golan occupate, contravvenendo alle risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che dichiaravano illegale l’annessione compiuta da Israele.

Il 20 dicembre (2019), la procuratrice del Tribunale penale internazionale ha annunciato che l’esame preliminare della “Situazione in Palestina” aveva concluso che erano stati commessi crimini di guerra nell’Opt e che “tutti i criteri legali… per l’apertura delle indagini erano stati soddisfatti“. Tuttavia, prima di procedere con un’indagine, la procuratrice ha deciso di chiedere conferma ai giudici del Tribunale penale internazionale che il territorio sul quale il tribunale può esercitare la propria giurisdizione comprenda la Cisgiordania, incluse Gerusalemme est e la Striscia di Gaza.

A marzo, gruppi armati palestinesi hanno lanciato un razzo dalla Striscia di Gaza verso il centro di Israele, ferendo sette civili. Israele ha reagito colpendo gli obiettivi di Hamas a Gaza. Tra il 3 e il 6 maggio (2019), le forze israeliane hanno sferrato centinaia di attacchi aerei e proiettili di artiglieria a Gaza, uccidendo 25 persone; i gruppi armati palestinesi hanno lanciato centinaia di missili contro Israele, uccidendo quattro persone. Tra il 12 e il 16 novembre, dopo che Israele ha ucciso un membro di spicco del gruppo armato della Jihad islamica palestinese in un attacco aereo, le ostilità sono divampate nuovamente. Israele ha lanciato attacchi aerei uccidendo 33 persone, tra cui 15 civili, mentre gruppi armati palestinesi hanno lanciato missili contro Israele, provocando feriti.

Le forze militari e di sicurezza israeliane hanno ucciso almeno 38 palestinesi, tra cui 11 minori, durante le manifestazioni nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania, secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (Office for the Coordination of Humanitarian Affairs – Ocha). Molti sono stati uccisi illegalmente con munizioni vere o facendo ricorso a uso eccessivo della forza quando non rappresentavano una minaccia imminente alla vita. Molte delle uccisioni illegali sono apparse intenzionali, il che costituirebbe un crimine di guerra.

I palestinesi nella Striscia di Gaza hanno continuato per settimane con proteste della “Grande marcia del ritorno”, iniziata nel marzo 2018. Secondo il Centro palestinese per i diritti umani, al 27 dicembre erano stati uccisi 215 palestinesi, tra cui 47 minori, quattro paramedici e due giornalisti. Alcuni manifestanti palestinesi hanno commesso violenze, lanciando pietre e bombe molotov contro i soldati israeliani.

Il 28 febbraio (2019), la Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite sulle violazioni commesse nel contesto delle proteste a Gaza tra marzo e dicembre 2018 ha determinato che le forze israeliane potrebbero aver commesso crimini di guerra, anche sparando deliberatamente contro civili palestinesi. A luglio, la stampa israeliana ha riferito che le forze armate israeliane avevano deciso di modificare i loro regolamenti sulle armi da fuoco, che avevano permesso ai cecchini di sparare agli arti inferiori dei manifestanti sopra il ginocchio, quindi dopo oltre un anno dal riconoscimento che tali regole provocavano inutilmente morti e ferite devastanti, i cecchini sono stati istruiti, per il futuro, a sparare sotto il ginocchio.

Il 16 maggio(2019) l’esercito israeliano ha chiuso senza formalizzare accuse le indagini sulla morte di Ibrahim Abu Thuraya, che utilizzava una sedia a rotelle, durante le proteste di Gaza del dicembre 2018.

Il 30 ottobre (2019), l’esercito ha condannato ai lavori socialmente utili un soldato israeliano che ha sparato a Othman Halas, palestinese di 15 anni morto durante una protesta a Gaza nel luglio 2018, e ha ridotto il suo grado per “aver messo in pericolo una vita deviando dagli ordini“.

Attacchi aerei israeliani e bombardamenti nella Striscia di Gaza hanno ucciso 28 civili palestinesi che non partecipavano direttamente alle ostilità, tra cui 10 minori; 13 civili sono stati uccisi nelle ostilità del 3-6 maggio, e altri 15 in quelle del 12-16 novembre. Alcuni degli attacchi in cui i civili sono stati uccisi o feriti sembrano essere stati indiscriminati o sproporzionati, o sono stati eseguiti senza adeguate precauzioni per risparmiare i civili. Gli attacchi dei coloni israeliani contro i palestinesi in Cisgiordania hanno provocato l’uccisione di due palestinesi e il ferimento di 112, secondo l’Ocha. Da un lato, le forze israeliane non sono riuscite a intervenire per fermare tali attacchi, e dall’altro la magistratura israeliana non è riuscita ad assicurare i responsabili alla giustizia.

Il blocco illegale aereo, terrestre e marittimo di Israele nella Striscia di Gaza, che ha limitato il movimento di persone e merci dentro e fuori l’area, ha continuato ad avere un impatto devastante sui diritti umani dei due milioni di abitanti di Gaza per il dodicesimo anno consecutivo. Queste misure hanno costituito una forma di punizione collettiva. A gennaio, l’Organizzazione mondiale della sanità ha denunciato che il blocco israeliano del carburante a Gaza stava gravemente colpendo ospedali e altri servizi sanitari. Tra il 26 agosto e il 1 settembre (2019), a seguito di attacchi missilistici in Israele, le autorità israeliane hanno dimezzato la fornitura di carburante a Gaza, arrivando al risultato di fornire un massimo giornaliero di quattro ore di elettricità.

A giugno (2019), il Centro palestinese per i diritti umani ha segnalato una grave carenza di medicinali per i pazienti con cancro e malattie croniche a Gaza. Israele ha continuato a negare arbitrariamente i permessi medici ai residenti di Gaza per consentire loro di entrare in Israele o in Cisgiordania per le cure. A gennaio, Israele ha esteso i limiti di pesca al largo della costa di Gaza a 12 miglia nautiche, ancora al di sotto delle 20 miglia nautiche concordate negli accordi di Oslo firmati da Israele e dalla Organizzazione per la liberazione della Palestina negli anni Novanta. In Cisgiordania, almeno 100 posti di blocco e blocchi stradali israeliani hanno continuato a limitare pesantemente il movimento dei palestinesi, ed essere in possesso di una carta di identità palestinese rappresenta un ostacolo all’uso delle strade costruite per i coloni israeliani.

Le autorità israeliane hanno usato ordini di detenzione amministrativa rinnovabili per trattenere i palestinesi senza accuse, né processo. Secondo il Servizio penitenziario israeliano, circa 4638 palestinesi provenienti dagli Opt, tra cui 458 detenuti amministrativi, sono stati trattenuti nelle carceri israeliane a partire dal 30 novembre. Molte famiglie di detenuti palestinesi in Israele, in particolare quelli di Gaza, non avevano il permesso di entrare in Israele per visitare i loro parenti. I civili palestinesi degli Opt, inclusi i minori, sono stati processati in tribunali militari che non soddisfacevano gli standard internazionali per un processo equo. I soldati israeliani, la polizia e gli ufficiali della Agenzia di sicurezza israeliana hanno continuato a torturare e maltrattare i detenuti palestinesi, compresi i minori, impunemente. I metodi segnalati includevano percosse, schiaffi, incatenamenti dolorosi, privazione del sonno, posizioni di stress e minacce. L’isolamento prolungato, a volte per mesi, è stato comunemente usato come punizione.

A febbraio (2019), il ministero degli Affari strategici ha pubblicato un rapporto che elencava operatori palestinesi per i diritti umani e attivisti per boicottaggio, disinvestimento e sanzioni contro Israele, etichettandoli come “terroristi in giacca e cravatta”. Tra questi c’erano Shawan Jabarin, direttore generale del Gruppo palestinese per i diritti umani Al-Haq; Raja Sourani, direttore del Centro palestinese per i diritti umani; e Salah Hamouri, ricercatore franco-palestinese di Addameer. Il 19 settembre, le forze israeliane hanno fatto irruzione nell’ufficio di Addameer a Ramallah e hanno sequestrato l’attrezzatura. Israele ha continuato a negare l’ingresso agli organismi dei diritti umani negli Opt, incluso il Relatore speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani negli Opt. A ottobre, Israele ha impedito al campaigner di Amnesty International su Israele e Opt, Laith Abu Zeyad, di uscire dalla Cisgiordania per “motivi di sicurezza”, apparentemente come misura punitiva contro il lavoro sui diritti umani dell’organizzazione.

Nella notte tra il 21 e il 22 luglio (2019), le autorità israeliane hanno tentato di espellere con la forza il fotoreporter palestinese Mustafa al-Kharouf verso la Giordania, dove non ha diritti di cittadinanza o di residenza, apparentemente perché aveva documentato violazioni dei diritti umani da parte delle autorità israeliane a Gerusalemme est. La Giordania ha bloccato il tentativo, che sarebbe stato un crimine di guerra. È stato trattenuto in detenzione arbitraria dal 22 gennaio fino alla sua liberazione condizionale il 24 ottobre. La legge anti-boicottaggio è stata utilizzata per colpire attivisti e organizzazioni critiche verso le politiche israeliane. A novembre, la Corte suprema israeliana ha confermato un ordine di espulsione contro il direttore di Human Rights Watch Israele e Palestina, Omar Shakir, che era stato avviato ai sensi di legge. Il 25 novembre è stato espulso. A giugno, la compagnia energetica statale Energix ha usato la legge per citare in giudizio Al-Marsad – Centro arabo sui diritti umani delle alture del Golan, per aver pubblicato un rapporto sul grande progetto di energia eolica della compagnia su terreni privati di siriani nel Golan occupato”

La pandemia da COVID 19 sta comportando un ritorno prepotente del nazionalismo e del sovranismo, proprio quando dovrebbe prevalere il multilateralismo, la cooperazione internazionale e la soluzione pacifica delle controversie internazionali. Ovunque però si diffondono le guerre e le uniche industrie che hanno un futuro prospero sono quelle che producono armi. Un commercio ignobile sulla pelle dei più deboli, che nessun deliberato delle Organizzazioni internazionali sembra in grado di fermare, come dimostra il fallimento della missione dell’Unione Europea IRINI che avrebbe dovuto imporre l’embargo alle milizie impegnate in una crudele guerra civile, in Libia.

L’Italia, che non ha esitato nel 1999 ad offrire le proprie basi per i bombardamenti sul Kosovo, l’Unione Europea che non è stata capace di impedire gli orrori della guerra nella ex Jugoslavia, le Nazioni Unite che non riescono ad imporre ad Israele ed agli Stati Uniti il rispetto del diritto internazionale, sono davanti ad un bivio. Sono ormai troppo forti le spinte verso il nazionalismo e la guerra, sull’onda di un populismo che sembra inarrestabile.

La crisi sanitaria, economica, politica che deriva dalla pandemia Covid-19 impone scelte rapide e nette. Occorre il recupero del multilateralismo, il ritorno alle trattative di pace, alla mobilità migratoria nel rispetto dei diritti umani, alla riduzione delle differenze tra i paesi più ricchi e quelli più poveri, con un abbattimento del debito internazionale. La soluzione equa della questione palestinese a livello delle Nazioni Unite, attraverso un nuovo processo di pace potrebbe essere ancora possibile. Forse basterebbe un esito delle elezioni americane che apra alla prospettiva di pace, o una iniziativa forte dell’Unione Europea che non puo’ subire all’infinito i ricatti di Israele, della Turchia di Erdogan, dell’Egitto di Al Sisi.

Se non si andrà in questa direzione, potranno costruire tutti i muri che vorranno, armare le polizie con armi sempre più letali, arrestare e torturare senza alcun controllo di legalità, ma la prospettiva non sarà che la guerra. La guerra interna sui territori, non solo in Israele, potrebbe elevare a livelli oggi impensabili il conflitto sociale già in atto, aggravato da una crisi economica di portata ancora incalcolabile. E poi cosa succederà se si inasprira’ ancora la guerra alle frontiere? Il Mediterraneo potrebbe diventare un campo di battaglia, e le prime vittime le vediamo già, sono i migranti abbandonati in mare da Stati che non rispettano i diritti umani eludendo gli obblighi di soccorso. Dietro il simbolo della sovranità nazionale si nascondono interessi economici e pulsioni autoritarie, che sono sfociati in molti paesi, come l’Egitto e la Turchia, in regimi che opprimono il popolo e cancellano le libertà democratiche, anche quando sono sanciti da elezioni che si svolgono sotto lo stretto controllo di chi governa o sono condizionate dai soldi che si mettono in circolazione ( se non dai sistemi corruttivi che in tutto il mondo stanno mettendo a rischio il principio della rappresentanza democratica). Eppure questi paesi vengono ritenuti partner essenziali per fermare i migranti, per sbarrare l’accesso all’Europa attraverso il Mediterraneo. La pace sembra contare meno dei sondaggi elettorali.

I diritti dei palestinesi, innanzitutto il diritto a vivere in pace, sono i diritti di tutti i popoli della terra, diritti che gli Stati negano con modalità sempre più violente. Per questo la battaglia dei palestinesi è la battaglia di tutti.

Oggi si sono svolte in tutta Italia iniziative a favore del popolo palestinese. Migliaia di cittadini italiani e stranieri hanno lanciato un appello in favore del popolo Palestinese per diffondere solidarietà ed informazione. Questo il loro appello, condividiamolo tutti:

Il primo ministro israeliano si prepara ad espandere Israele in gran parte della Palestina — tra pochi giorni!

La Palestina è riconosciuta dalle Nazioni Unite. Ma il governo israeliano se ne vuole appropriare di fatto, in violazione del diritto internazionale.

In teoria quasi tutti sono contrari a questa mossa, ma il punto è se qualcuno farà qualcosa al riguardo. L’Europa e altre nazioni hanno il potere di convincere Israele a ripensarci, ma devono sentire la forte determinazione dell’opinione pubblica che chiede il loro intervento. Allora facciamoci sentire!

Petizione Avaaz


Conflitto israelo-palestinese: Oxfam, appello a Ue e Italia. “Garantire tutela diritti della popolazione palestinese segnata da crescente violenza dei coloni”

Appello urgente all’Italia e all’Unione europea affinché facciano pressione sulle autorità israeliane per garantire la tutela dei diritti della popolazione palestinese segnata dalla crescente violenza dei coloni. A lanciarlo è Oxfam, che da oltre 60 anni lavora al fianco delle comunità più vulnerabili dei Territori Palestinesi Occupati (Tpo), e che oggi ha presentato il rapporto “Violenza e impunità in Cisgiordania al tempo del Coronavirus”. Dallo scoppio della pandemia, in Cisgiordania, si registra una inarrestabile escalation di violenza dei coloni sui civili palestinesi, con 127 attacchi solo dal 5 marzo. Il Rapporto presenta testimonianze di abusi, incendi e vandalismi, “la quotidianità in Cisgiordania”, compiuti dai coloni nei confronti delle comunità più vulnerabili della Cisgiordania, in cui vivono quasi 3 milioni di palestinesi e circa 400mila coloni israeliani. “Depressione, ansia, stress sintomatico, disturbi dell’umore, problemi comportamentali e stress post-traumatico” sono solo alcune delle più comuni conseguenze segnalate dalle vittime degli attacchi da parte di coloni a Oxfam e ai propri partner. Oxfam chiede a Italia e Ue di fare pressione su Israele perché garantisca “l’applicazione dello stato di diritto, senza discriminazioni o eccezioni, in merito alle violenze commesse da coloni israeliani ai danni dei palestinesi, delle loro proprietà e dei loro mezzi di sostentamento”. Inoltre “si richiede che i coloni sospettati di attacchi contro i palestinesi e/o le loro proprietà siano condotti davanti alla giustizia e perseguiti in modo imparziale e trasparente”. Italia e Ue chiedano al Governo israeliano di “porre fine alla costruzione degli insediamenti illegali, in accordo con la pronuncia del Consiglio Europeo sul punto e in linea con la Risoluzione 2334 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite; di sostenere i palestinesi che vogliono restare nella loro terra nell’Area C (comprese la Valle del Giordano e l’area settentrionale del Mar Morto)”. Nel contempo Oxfam chiede che cessi “la fornitura di armamenti (armi, munizioni, equipaggiamenti ecc..) a tutte le parti coinvolte nel conflitto israelo-palestinese, laddove sussista un rischio chiaro e preponderante, che tali forniture possano essere usate per commettere gravi violazioni del diritto internazionale umanitario. Stando agli ultimi dati disponibili le esportazioni italiane di armamenti verso Israele ammontavano a 18,4 milioni nel 2018”. Oxfam ha lanciato nei giorni scorsi anche un’interrogazione urgente al ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, affinché chieda uno stop al Piano di annessione israeliano della Valle del Giordano e dell’area nord del Mar Morto annunciato per il 1° luglio, sotto l’egida Usa, in totale violazione del diritto internazionale e chiarisca a posizione italiana sul Piano presentato da Israele.

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