di Franca Regina Parizzi
La riapertura delle scuole, nonostante l’accuratezza nell’applicare le norme di igiene e prevenzione, ha comportato inevitabilmente una serie di problemi connessi alla diffusione del SARS-Cov2.
Primo fra tutti la difficoltà di distinguere tra Covid-19 e altre infezioni virali, soprattutto l’influenza, e soprattutto nei bambini più piccoli. Inoltre, circa la metà dei bambini e ragazzi positivi al tampone rinofaringeo per SARS- Cov2 sono asintomatici e rappresentano pertanto, in modo del tutto inapparente e inconsapevole, potenziali fonti di contagio. Studi scientifici (“An analysis of SARS-CoV2 viral load by patient age” MedRXiv 08.06.2020) hanno dimostrato che, nonostante i bambini e i ragazzi si ammalino molto meno degli adulti, possono tuttavia ospitare nella loro cavità nasofaringea una carica virale uguale, o anche superiore, rispetto agli adulti e quindi diffondere il contagio nella comunità. Quanto tutto questo abbia contribuito all’incremento dei casi di Covid-19 che registriamo oggi, non possiamo saperlo.
Il problema nelle scuole si pone quando si scopre un bambino o un insegnante positivo al tampone rinofaringeo. Test che viene eseguito se un alunno o un insegnante hanno avuto contatti stretti con un soggetto positivo oppure se presentano una sintomatologia sospetta. Sintomatologia che è comune, come abbiamo già sottolineato, all’influenza e ad altre infezioni virali, che pure, non va trascurato, si diffondono ogni anno nelle comunità scolastiche (come in ogni comunità).
I sintomi comuni sono:
- disturbi gastrointestinali (vomito, diarrea)
- mal di testa
- congestione e muco nasale
- mal di gola
- febbre
- affaticamento
- dolori muscolari
- dolore al petto
- tosse secca.
La perdita del gusto (ageusia) e dell’olfatto (anosmia), tipici della Covid-19, sono raramente presenti nei bambini.
E’ comprensibile come, di fronte a sintomi come quelli sopra elencati, i genitori si trovino in difficoltà e il pediatra stesso, in assenza di un tampone rinofaringeo, non abbia elementi per poter orientare la diagnosi verso un’influenza, un’altra infezione virale, o la Covid-19.
La vaccinazione anti-influenzale a tappeto nei bambini permetterebbe di escludere in partenza un’influenza. Tuttavia l’efficacia del vaccino anti-influenzale è attorno al 70% (il che significa che un 30% dei vaccinati può comunque contrarre l’influenza, magari in forma più lieve) e le dosi di vaccino anti-influenzale distribuite ai pediatri, ai medici di Medicina Generale e alle farmacie sono insufficienti per un programma di vaccinazione di massa, particolarmente in alcune regioni.
Come già sottolineato in un articolo precedente (“Influenza o Covid-19”), l’inadeguatezza delle forniture di vaccino anti-influenzale rappresenta il primo grosso limite nella strategia anti-Covid-19, volta a decongestionare ambulatori medici e ospedali.
Già adesso i pediatri sono travolti da telefonate di genitori, tamponi da prescrivere e richieste di certificati per assenza scolastica. E l’influenza nel nostro Paese non è ancora arrivata.
Secondo il rapporto 58/2020 dell’Istituto Superiore di Sanità, del Ministero della Salute e del Ministero dell’Istruzione, il pediatra deve considerare potenzialmente positivo un bambino con temperatura corporea superiore a 37,5 °C o con uno dei sintomi sopra elencati, che durante la stagione invernale possono ovviamente presentarsi anche più volte. Il bambino dunque non può andare a scuola o deve essere subito rimandato a casa. Il pediatra in questo caso deve effettuare un triage telefonico (riportiamo quello raccomandato dalla FIMP, Federazione Italiana Medici Pediatri) e decidere se prescrivere il tampone rinofaringeo presso l’AST (Azienda Sanitaria Territoriale) o l’USCA (Unità Speciale di Continuità Assistenziale).
Il Piano Scuola 2020-2021 del Ministero dell’Istruzione (“Indicazioni operative per la gestione dei casi e focolai di SARS-Cov 2 nelle scuole e nei servizi educativi dell’infanzia” – 21.08.2020) rimanda alla responsabilità genitoriale (“patto di corresponsabilità”) lo stato di salute dei minori, prevedendo l’autocertificazione in alternativa al certificato di riammissione a scuola da parte del pediatra. Esiste tuttavia una grande confusione non soltanto a livello delle diverse regioni, ma anche dei singoli istituti scolastici. Se per le assenze comunicate in via preventiva dalla famiglia alla scuola per motivazioni non di salute il certificato medico non serve, in molti casi di assenza per motivi di salute viene richiesto il certificato del pediatra e non è ritenuta sufficiente l’autocertificazione dei genitori.
Dunque il pediatra deve redigere un’attestazione che il bambino può rientrare scuola ed è comprensibile come rilasci il certificato solo a fronte di un tampone negativo. Anche perché la sola valutazione delle condizioni cliniche del bambino, in assenza del tampone, non è sufficiente a garantire la non contagiosità dell’alunno, che potrebbe essere asintomatico o paucisintomatico.
I test antigenici effettuati sul tampone rinofaringeo danno il risultato in tempi brevi (15-20 minuti), ma non sono al momento ritenuti validi a livello diagnostico: se un test antigenico è positivo, è necessaria la conferma del test molecolare. Il test molecolare rappresenta il gold standard per la diagnosi di Covid-19, ma i tempi di attesa per l’esecuzione e il risultato possono essere di parecchi giorni, che, nonostante bambini e personale scolastico abbiano la priorità nell’esecuzione dei test, inevitabilmente comportano un intollerabile allungamento dell’assenza scolastica.
In attesa del risultato del tampone, il bambino dovrà restare in isolamento, ma i suoi conviventi (genitori o fratelli) potranno uscire di casa per andare a scuola o al lavoro.
In conclusione, se il bambino presenta anche uno solo dei sintomi di cui sopra, potrà tornare a scuola solo dopo un tampone negativo e l’attestazione del pediatra. Attestazione che è necessaria dopo 5 giorni di assenza per la scuola dell’obbligo e dopo soli 3 giorni per la scuola materna.
Se il tampone rinofaringeo è invece positivo:
– il bambino può rientrare a scuola dopo almeno 3 giorni senza sintomi e con un tampone di controllo negativo;
– l’intera classe viene messa in quarantena per 14 giorni oppure 10 giorni, ma con tampone negativo.
Da quanto sopra illustrato, si può dedurre come il ruolo del pediatra si sia modificato e certamente complicato con la pandemia da Covid-19. Il Covid, afferma Leo Venturelli, pediatra della SIPPS (Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale), è stato “un fulmine a ciel sereno. Il triage telefonico è diventato una prassi comune, decretata da una legge dello Stato e da una circolare del Ministro Speranza datata marzo 2020. Il problema, però, è che tuttora rimane ancora non codificata dagli organi legali”. Gli Ordini dei medici, su questo, ricordano all’intera categoria di stare attenti al consulto telefonico, non fare diagnosi, non fare terapia medica in senso stretto attraverso il telefono, perché ci sono rischi legali in cui è possibile incorrere”.
Con la pandemia Covid-19 gli studi pediatrici si sono svuotati e i pediatri hanno dovuto ricorrere molto di più al triage telefonico per comunicare con i genitori e gestire i problemi di salute dei loro piccoli pazienti. Evidentemente con notevoli difficoltà, disagi, incertezze e giustificati timori. “Un passo avanti è l’essere riusciti a derubricare la certificazione di riammissione a scuola ad attestazione. Un’attestazione non presuppone l’obbligo di visitare in presenza il bambino, né di fare diagnosi, ma soltanto di certificare se ha o non ha il Covid, con conferma del tampone” dice Leo Venturelli, e prosegue: “il sistema si ribloccherà presto, se la pretesa è che ogni bambino dall’asilo in su con un po’ di tosse, raffreddore, muco nasale, o febbricola, deve stare a casa e fare subito il tampone. E’importantissimo fare i tamponi, ma vanno richiesti secondo visita, e soprattutto secondo scienza e coscienza, come è sempre stato fatto dopo i 3-5 giorni di malattia di un bambino. Una latenza di questo tipo, difatti, permetterebbe a più della metà dei più piccoli di tornare a scuola senza problemi, se i sintomi non ci sono più. Con il persistere, invece, si procederebbe poi a fare il tampone. Altrimenti, il rischio più grande è un ulteriore blocco dell’intero sistema sociale alle spalle della scuola e della filiera delle Aziende Sanitarie Territoriali”.
Con la ratifica in sede di Conferenza Stato-Regioni del 30.10.2020, si è dato il via alla fase operativa dell’accordo per l’esecuzione dei test rapidi di accertamento del Covid-19 da parte dei medici di Medicina Generale e dei pediatri di libera scelta.
Tuttavia i problemi che rendono difficile l’esecuzione di questi testsono molti. La presenza in ambulatorio di persone in attesa del test, quindi potenzialmente positive, comporta inevitabilmente un rischio per gli altri pazienti. I medici di Medicina Generale e i pediatri di libera scelta non sono stati dotati di DPI (dispositivi di protezione individuale: tute, maschere, guanti). DPI che sono necessari perché l’esecuzione del tampone è una manovra a rischio e molti pazienti, soprattutto i bambini, durante il tampone, hanno il riflesso della tosse e quindi possono trasmettere goccioline contaminate con il virus. Inoltre l’esecuzione dei tamponi richiede tempi, che vanno ad aggiungersi ai tempi necessari per le vaccinazioni anti-influenzali, oltre che per l’espletamento di una burocrazia esasperante, con conseguente ridotta attenzione e assistenza agli altri pazienti. Ma l’esecuzione dei tamponi rinofaringei richiede non solo tempo, anche spazi adeguati. Non sono stati presi in considerazione i potenziali rischi ambientali e di salute pubblica. Molti studi medici si trovano in condomini: se una persona risulta positiva al tampone dopo aver percorso spazi comuni o utilizzato l’ascensore, esiste un alto rischio di diffusione del virus. Si stima che solo il 25-30% dei medici e dei pediatri dispongano di un ambulatorio adeguato per poter eseguire i tamponi rinofaringei. Tutti questi problemi e rischi non sono stati presi in considerazione e molti medici e pediatri non sono disponibili a eseguire i tamponi in ambulatorio, certamente non per scarsa solidarietà o coscienza civile, ma, al contrario, per senso di responsabilità e concretezza. Abbiamo forse dimenticato che gli ambulatori medici, e non soltanto gli ospedali, sono stati luoghi privilegiati di diffusione del contagio? Abbiamo forse dimenticato quanti medici hanno contratto il Covid-19 perché privi di adeguati DPI, e quanti di loro hanno perso la vita per questa pandemia?
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