Due intense giornate di proiezioni, alle quale hanno assistito sia la giuria degli esperti sia le giurie popolari, specifica e patrimonio di questo festival. Si tratta una giuria molto articolata, al suo interno ci sono studenti delle scuole secondarie di secondo grado, studenti universitari, rappresentati di associazioni e professionisti del settore socio-sanitario.
Venti cortometraggi, preselezionati tra i settantaquattro giunti alla call del festival, sono stati affidati al buio della sala di proiezione. Alcuni lavori sono molto semplici o ingenui, altri troppo “costruiti” o, forse, più distaccati. L’argomento imposto dal festival è rigoroso: l’uso del cinema per raccontare, dalle molte possibili angolature, la malattia e i suoi “effetti collaterali” nelle relazioni con se stessi e con gli altri. Abbiamo visto diversi lavori che parlavano di Alzheimer, segno che forse sta crescendo una nuova sensibilità nei confronti degli anziani e dei loro disagi da parte delle nuove generazioni, e questo è un bene. Alcuni lavori presentavano una forte carica evocativa, anche grazie a interpretazioni attoriali superbe, a dimostrazione che il film breve ha la medesima dignità del lungometraggio.
Molto interessanti i lungometraggi presentati. Si è trattato di “Patch Adams” di Tom Shadyac che vede una memorabile interpretazione di Robin Williams, “Disconnect” forte e possente film del 2012 diretto da Alex Rubin, “La famiglia Belier”, una morbida commedia nell’ottima tradizione francese che racconta la malattia mentre fa sorridere e, infine, “Bianca come il latte, rossa come il sangue” di Giacomo Campiotti che racconta il doloroso percorso di accompagnamento alla morte che percorre un adolescente nel rapporto con una sua coetanea colpita dalla leucemia. Anche in questo caso, si tratta di un film forte, che ha il coraggio di costringere lo spettatore su un argomento considerato tabù sino a non molti decenni fa. Campiotti si era già occupato, con il suo “Mai + come prima”, di drammi che scuotono la vita degli adolescenti.
E, forse, questo è il principale motivo per cui, dopo tanti anni di cinema, gli viene proposto di curare la regia di un prodotto da realizzarsi per la televisione. La cifra stilistica di Campiotti, che ben si adatta al prodotto e la sua empatia, ampiamente dimostrata con i lavori precedenti, decretano il successo della serie che sarà prodotta ben tre stagioni, riscuotendo grandi consensi di pubblico. Si tratta di “Braccialetti Rossi”. Ed è lui a salire sul palco, accompagnato dai videomessaggi inviati da attori della serie con non hanno potuti partecipare, e da Lele Vennoli, che interpreta il ruolo di Ulisse. Ancora musica e ballo nella serata ma tutti sono in attesa del verdetto. Pier Sergio Caltabiano, direttore della Formazione del Cefpas, ente organizzatore del festival, è sul palco. Al suo fianco c’è la giuria tecnica. Caltabiano apre con sapiente lentezza il foglio piegato in quattro che ha tra le mani. Guarda alla sua destra, poi guarda il pubblico. Abbassa gli occhi sul foglio aperto, sorride e li rialza verso il pubblico. “And the winnes is…”. Il pubblico in sala riempie l’aria del proprio silenzio. Come nel miglior “giudizio” dei reality show, i secondi diventano minuti, parte del pubblico comincia a guardarsi reciprocamente e altri a fissare il palco con gli occhi sgranati. Le labbra di Caltabiano si schiudono. “Cuerdas.”. Ebbene sì, il film di animazione di Pedro Solís García, vince la terza edizione del Salus CineFest. “Per aver saputo creare, attraverso il linguaggio della fantasia, un indissolubile legame tra i personaggi che si trasferisce con immediatezza allo spettatore”, questa è la motivazione ufficiale della giuria.
Sensibilità diffusa, quella nei confronti di Cuerdas. Unanime è anche il giudizio della giuria popolare. La storia della piccola Maria, l’ingenuità del suo rapporto con un suo compagno affetto da paralisi cerebrale, creano un racconto ben realizzato sin dalla fase di scrittura. Si tratta di una storia vera, quella di Nicolàs, fratello di Pedro Solis Garcia, il regista, affetto dalla medesima malattia. La figura di Maria è ispirata alla sorella maggiore che accudiva Nicolàs.
Conquista diversi riconoscimenti “Non temere” di Marco Calvise che vince il premio per la “Miglior colonna sonora” e una menzione speciale “per l’incisività narrativa con cui segue il calvario di un uomo sulla via della malattia”. Ottima interpretazione, una delle ultime prima della sua morte, di Francesco Carnelutti, cui va, ex-aequo, il premio come “Miglior attore” “per lo spessore conferito al proprio personaggio”. Durante la scena in cui il protagonista viene lavato, quando la spugna impugnata dalla donna strofinavano i suoi fianchi ed i suoi glutei, il maestro inarca leggermente la schiena, in maniera appena percettibile, rappresentando così la dignità del Cristo sulla croce. La giuria popolare composta dalle associazioni assegna al film il suo premio “Miglior Corto”.
Il vincitore ex-aequo con Carnelutti del premio “Miglior attore” è il giovane debuttante Fabio Palmisano, interprete di “Mattia sa volare” di Alessandro Porzio, per “l’autenticità con cui ha presentato i sentimenti che gli appartengono di là dalla finzione cinematografica.”
Il premio come “Miglior attrice” è assegnato ad Alessia Pellegrino, interprete di “Senza occhi, mani e bocca” la potente opera di Paolo Budassi che affronta il racconto di una patologia non attraverso lo sguardo di chi ne è portatore, ma di quello della vera vittima, quella che la subisce: la pedofilia. “Per aver restituito con sincerità e misura il dramma della violenza subita nel personaggio e la crisi che ne ha poi segnato la crescita”. Questa è la motivazione del premio. Valutazioni ed emozioni molto diverse hanno invece segnato la scelta del miglior lungometraggio.
Nonostante l’età più adult della giuria, rispetto a quella popolare composta principalmente da studenti, quest’ultima, forse sull’onda emotiva del ricordo di “Oh capitano, mio capitano…” premia l’interpretazione Williams in “Patch Adams”. Diversa l’opinione della giuria degli esperti. Il loro voto, unanime, va a “Disconnect” di Alex Rubin “per le problematicità con cui affronta temi cruciali del nostro presente e per la sapienza con cui il regista orchestra una complessa partitura narrativa.”
Il Salus Festival si chiude e si chiude alla grande. Sul palco sono saliti Mogol, Totò Schillaci, Giacomo Campiotti e, soprattutto, sulle poltrone del “Teatro Rosso di San Secondo” si sono seduti, ogni giorno, più di 300 studenti. Buona salute a tutti e… buon cinema, che male non fa.
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