Sono uscito da casa con l’intento di cercarlo. E’ nato al Capo, un quartiere di Palermo che si trova non molto lontano da dove abito io. Imbocco Vicolo delle Api. Si tratta di una piccola strada parallela a via dei Candelai. Alzo gli occhi attorno a me. Cerco una targa che ricordi il luogo in cui è nato. Nulla. I segni del degrado, sparito da buona parte del centro storico, qui sono ancora evidenti. Non conosco il numero civico della casa in cui Francesco è nato, ma ho visto in giro per la città, più di una targa che si sarebbe potuta evitare e invece di questa, io, ne sento la mancanza.
Qui si tratta di Franco Franchi, uno dei palermitani più famosi al mondo. Un figlio di questa città, della miseria del centro storico di questa illuminatissima città. Percorro vicolo delle Api fino in fondo, poi torno indietro. Naso all’insù. Nulla. Scuotendo la testa, mi avvio verso via Venezia, una piccola strada che da via Maqueda porta verso via Roma, passando così alle spalle del Teatro Biondo. Proprio questa piazzetta fu intitolata, qualche anno fa, a Franco Franchi e Ciccio Ingrassia. La targa che si staglia sull’intonaco bianco del palazzo non mi mette a mio agio. Mi avvicino al giardinetto. C’è una piccola stele con una targa che contiene tre volti lavorati in bronzo. Ma come tre? Franco e Ciccio erano due. Mi avvicino. Leggo. Si tratta di Domenico Modugno. Massimo rispetto per il maestro Modugno, ma non era pugliese? Cerchiamo di capire meglio le cose: alle spalle del Teatro Biondo, là dove c’è l’ingresso delle merci e degli artisti, spesso considerati la medesima cosa, c’è sempre stato uno slargo, con al centro l’inizio di un giardinetto che, stringendosi, percorre buona parte di via Venezia.
Lo slargo è diventato quindi “Piazzetta Franco Franchi e Ciccio Ingrassia” ma il giardinetto, chiamato “villa” secondo antiche e ben radicate abitudini romane, è stato dedicato al Mimmo nazionale. Qualcuno avrà avuto un dubbio amletico da risolvere e la soluzione salomonica fu quella di mettere tutti e tre, nella stele di “Villa Domenico Modugno”. Mi sono reso conto che non avevo trovato ciò che cercavo. Mentre pensavo alla memoria che questa collettività ha deciso di trascurare, di non fare propri, pensavo alla vita di Franco Franchi. Luci e ombre, viene spontaneo dire. Amato dalla città, fu in vicolo delle Api che, il 18 settembre 1928, urlò per la prima volta il piccolo Francesco Benenato. A dispetto del suo cognome, Francesco era il quarto di diciotto figli. Abbandonò precocemente la scuola e iniziò a lavorare assieme al padre come muratore. La famiglia decise di emigrare mentre lui rimase a Palermo. Fece un po’ di tutto, dal madonnaro sui marciapiedi della città al garzone di pasticceria, dal facchino alla stazione allo scippatore. Era un “busca pane” che arrotondava le giornate nere, ma il suo sogno e il suo amore per lo spettacolo erano la vera pulsione che cresceva dentro di lui. Ci si ricorda ancora di lui quando, giovanissimo, girava per la città indossando la grancassa e “abbanniando” le sue storie. Fu nel 1945 che fu notato da Salvatore Pulara, artista napoletano, che capì il talento innato di Francesco.
Franco Franchi e Ciccio Ingrassia – Il concerto – courtesy www.francofranchi.it
Ancora anni travagliati vengono affrontati dall’artista, durante i quali prova la dura vita, e la vergogna, del carcere, ma, all’inizio degli anni ’50 la svolta: il suo incontro, peraltro casuale con Ciccio Ingrassia. La storia della coppia artistica si racconta con un numero. Insieme realizzarono 132 film. Ma il loro fu un rapporto che spesso dimostrò momenti di forte stridore, anche attraversò esternazioni pubbliche durante le loro numerose apparizioni televisive. Tutti abbiamo riso con i loro film. Quando però Franco Franchi realizzò un film con i soldi di Cosa Nostra, subì l’ostracismo da parte dai salotti bene di questa città, quelli frequentati dalle stesse persone che quotidianamente erano complici con il sistema mafioso. Molto spesso, in questa città, la colpa è farsi scoprire, più che commettere illeciti. L’ipocrisia vinse sui rapporti umani. Distaccarsi da lui voleva dire distaccarsi dai poteri mafiosi, perlomeno alla luce del sole.
I funerali di Franco Franchi – courtesy www.francofranchi.it
Quindi la memoria di Franco Franchi, a venticinque anni dalla morte, come sarà celebrata? “Il cult celebra il cult”, potremmo dire. Nei giorni 9 e 10 dicembre, al cinema De Seta, presso i Cantieri Culturali della Zisa, l’associazione Lumpen organizza una full-immersion culturale sulla figura dell’illustre palermitano. A ripercorrerne la storia ci saranno Ficarra e Picone, il critico cinematografico Marco Giusti e il regista Franco Maresco, autore nel 2004 di ‘Come inguaiammo il cinema italiano’, il documentario più completo mai dedicato alla vita e all’arte di Franchi e Ingrassia. Nel corso delle serate, curate da Maresco e Uzzo, saranno proiettati i filmati rari e foto inedite di Franchi e Ingrassia sui set, in teatro e nella vita privata, come pure si potranno visionare rare locandine e poster, materiali messi a disposizione dal collezionista Simone Di Bella. “Franco Franchi è stato, insieme a Ingrassia, l’ultima grande maschera dello spettacolo italiano del Novecento – dice Maresco – rappresentante amatissimo di un’anima popolare che con lui si è estinta per sempre “. Altri appuntamenti nel lungo week-end: sabato 9 dicembre alle 11:00, presso la Chiesa di Casa Professa, là dove si tennero i suoi funerali, sarà celebrata una Messa commemorativa. Inoltre, domenica 10 dicembre, alle 16:30, in memoria di Franco Franchi, verrà intitolata l’aula teatro della Piccola Accademia dei Talenti in via Parlatore. Qualcosa si muove. Magari questa rappresenta l’occasione per ricominciare a parlare di te, Francesco, figlio del ventre molle di questa città, figlio della sua lagnusia e della sua ipocrisia. Ci stai guardando dall’alto e, sicuramente, te la stai ridendo. Grazie per le sane risate che ci hai regalato. Grazie per la maschera gommosa che è stato il tuo viso. Grazie per la sfrontatezza con cui hai deciso, o potuto, vivere.
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