Libertà di stampa: 65 i giornalisti uccisi nel 2017

Oggi 326 giornalisti sono in carcere, 54 giornalisti sono in ostaggio da qualche parte del mondo e due giornalisti sono scomparsi. 65 i giornalisti uccisi nel 2017

È disponibile il rapporto di “Reporters sans frontières” che osserva il 2017 mettendo sotto la lente d’ingrandimento, la libertà d’informazione. 65 giornalisti, tra professionisti, non professionisti e operatori dei media, sono stati assassinati nel mondo. Trentanove di loro sono stati intenzionalmente presi di mira e assassinati, perché le loro indagini disturbavano interessi di lobbies economiche o di gruppi politici o portavano alla luce affari e connivenze con le mafie. Ventisei giornalisti sono morti mentre svolgevano il loro lavoro, vittime collaterali di bombardamenti, attentati o di missioni militari. Risulta evidente come il 60% dei giornalisti sia stato ucciso con lo scopo di spezzare la loro penna. Il dato, rispetto al 2016 sembra essere in leggero calo con il 18% in meno nel 2017.

Giornalisti professionisti uccisi nel periodo 2003-2017 – Fonte: Reporters san Frontières

RSF osserva che il 2017 è l’anno con il più basso indice di mortalità per i giornalisti negli ultimi quattordici anni. Questa tendenza può essere parzialmente spiegata dalla crescente consapevolezza della necessità di proteggere meglio i giornalisti e la proliferazione di campagne in questa direzione da parte delle organizzazioni internazionali e dei media stessi. Inoltre, corsi di formazione sulla propria sicurezza fisica, hanno aiutato a formare meglio i giornalisti inviati in territori ostili. Anche lo status di “freelance” è stato oggetto di riflessione e le iniziative emerse hanno permesso anche a loro di godere delle stesse condizioni di protezione dei loro colleghi dipendenti delle testate e/o dei media. Anche l’intenso lavoro di advocacy svolto dalle organizzazioni che difendono e proteggono giornalisti, come “Reporters Without Borders”, con Stati e Istituzioni internazionali sta dando i suoi frutti. All’Assemblea Generale e al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, al Consiglio per i diritti umani e al Consiglio d’Europa, RSF ha formulato una serie di raccomandazioni sulla sicurezza dei giornalisti, come emerso in varie risoluzioni emesse. L’ultima è stata adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre scorso. Al centro di questa risoluzione vi è il problema delle donne giornaliste e le preoccupazioni per la particolare aggressività che hanno vissuto nell’esercizio della loro professione, tra cui discriminazione, violenza di genere e molestie, sia online che offline.
Infografica principali Paesi e numero dei giornalisti uccisi nel 2017 – Fonte: Reporters san Frontières

Altro possibile motivo del calo delle morti è probabilmente dovuto al fatto che i Paesi diventati troppo turbolenti e pericolosi stanno allontanando i loro giornalisti. Nel 2017 l’89% dei giornalisti è stato ucciso nel proprio Paese di origine. Questo è il caso della Siria, dell’Iraq, dello Yemen e della Libia dove c’è un’emorragia della professione. Alcuni giornalisti fanno addirittura la scelta di abbandonare la Libia per scriverne da un Paese vicino ma meno rischioso. Anche in Messico, dove i cartelli e le politiche locali hanno atteggiamenti terroristici, molti giornalisti scelgono di lasciare il Paese o addirittura la professione. Se nel 2017 la Siria rimane, come negli ultimi sei anni, il Paese più mortale al mondo con 12 giornalisti uccisi, il Messico la segue da vicino con 11 morti, tutti consapevolmente mirati. Il Messico si conferma quindi come la nazione in pace più pericolosa al mondo per i giornalisti. Nella patria dei cartelli della droga, i giornalisti che si occupano con le loro indagini della corruzione della classe politica o del crimine organizzato sono quasi sempre presi di mira, minacciati o giustiziati a sangue freddo.

Javier Valdez Cárdenas, ucciso a Culiacán il 15 maggio 2017
Ricordiamo Javier Valdez Cárdenas, ucciso a Culiacán, 50enne esperto giornalista, collaboratore di AFP e di media locali, specializzato in inchieste sul traffico di narcotici. Come Javier, altri dieci giornalisti messicani hanno pagato con le loro vite per il loro lavoro d’informazione nel 2017. In Messico, questi crimini rimangono in gran parte impuniti. Impunità dovuta alla diffusa corruzione nel Paese, soprattutto a livello locale, dove i funzionari eletti sono, spesso, direttamente collegati ai cartelli.

Sul campo, il pericolo è ovunque e i giornalisti, professionisti o meno, sono costantemente esposti al fuoco di cecchini, ai missili o all’esplosione di un aereo o di un attentatore suicida. I più esposti sono i giornalisti locali sugli scenari di guerra. Anche perché la presenza di reporter stranieri è diminuita drasticamente negli ultimi anni. Analoghe considerazioni valgono per l’Afghanistan, dove nove giornalisti locali sono stati uccisi quest’anno. Tra questi, i due giornalisti professionisti e i sette operatori dei media sono stati uccisi in tre attacchi separati, uno contro la sede della emittente televisiva nazionale àJalalabad e gli altri due a Kabul.
In Iraq, otto giornalisti sono stati uccisi quest’anno. Ancora una volta sono i giornalisti locali che pagano il prezzo più alto. Il canale filo-governativo Hona Salaheddine ha perso due giornalisti uccisi dai combattenti dell’Isis.
Eletto nel maggio del 2016 alla Presidenza delle Filippine, Rodrigo Duterte governa un territorio in cui cinque giornalisti sono stati presi di mira da proiettili e di questi, quattro sono morti a causa delle ferite. Le sue ultime posizioni fanno rivivere la tendenza che esiste in quello Stato da almeno un decennio, ad eccezione del 2016 – anno storico per la sicurezza dei giornalisti nelle Filippine – con l’assassinio dei giornalisti temporaneamente azzerato.
Dieci donne sono state uccise quest’anno, rispetto alle cinque dello scorso anno. La maggior parte di loro aveva in comune l’essere giornalista investigativa esperta e combattiva, con la penna affilata. Nonostante le minacce, hanno continuato a indagare e a rivelare casi di corruzione e condotto altre inchieste che coinvolgono autorità politiche o gruppi mafiosi. Hanno pagato con le loro vite le indagini svolte.

Daphne Caruana Galizia, uccisa a Malta il 16 ottobre 2017
Il 16 ottobre a Malta, un’autobomba uccide la giornalista Daphne Caruana Galizia a Bidnija. L’evento ha causato una forte ripercussione mediatica in tutto il Paese e a livello internazionale. Attraverso il suo blog, Running Commentary, aperto nel 2008 e giunto a 400.000 pagine visitate al giorno lo scorso anno, Daphne Caruana Galizia ha denunciato la corruzione, il traffico illegale, di tangenti e conti bancari off-shore a Malta ma con reti di interessi ben più ampi della sola isola-Stato. Aveva pubblicato numerosi articoli sul coinvolgimento dei parenti del primo ministro Joseph Muscat nei “Panama Papers”. Molti leader europei hanno chiesto un’indagine internazionale indipendente sull’omicidio.

Oggi 326 giornalisti sono in carcere, 54 giornalisti sono in ostaggio da qualche parte del mondo e due giornalisti sono scomparsi.

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