di Mauro Seminara
Una folla di giornalisti armati di microfoni e telecamere è dispiegata davanti la prigione di Neumunster. Motivo della massiccia presenza di giornalisti di ogni nazionalità è la scarcerazione che avverrà da un momento all’altro, di Carles Puigdemont. Il colpo di scena, inatteso dal Governo di Madrid, è arrivato ieri pomeriggio con la decisione del Tribunale territoriale dello Schleswig-Holstein. Il Tribunale tedesco ha infatti deciso di rilasciare Carles Puigdemont dietro il versamento di una cauzione quantificata in 75.000 euro. Lo schiaffo più dolente per la Spagna consiste nella decisione tedesca di non riconoscere il reato di ribellione indicato dal giudice della Corte Suprema Pablo Llarena nella richiesta di estradizione dell’ex presidente della Generalitat di Catalogna. Resta in ballo l’accusa di appropriazione indebita rivolta a Puigdemont. Accusa che vincola l’indipendentista al territorio tedesco fino a decisione del Tribunale e che per questo ha imposto la libertà su cauzione e l’obbligo di dimora in Germania. Diversa la questione relativa al reato di ribellione. Nel codice penale tedesco esiste infatti un reato di “alto tradimento”, ma prevede altre caratteristiche che includono la violenza. Non è riconosciuto un “alto tradimento” democratico a mezzo referendum ed elezioni e pertanto, in assenza di accuse affiancate come quella di appropriazione indebita, per il Tribunale tedesco Carles Puigdemont sarebbe stato libero di andar via o forse addirittura un potenziale perseguitato politico a cui concedere protezione.
La Corte Suprema spagnola sta valutando l’ipotesi di un ricorso alla decisione del Tribunale tedesco circa il reato di ribellione di cui Puigdemont è accusato in Spagna. Secondo l’avvocato di Carles Puigdemont, Jaume Alonso-Cuevillas, l’ipotesi di ricorso da parte della Corte Suprema spagnola è giuridicamente plausibile. Al momento però non risultano depositate istanze in questo merito presso il Tribunale territoriale tedesco dello Schleswig-Holstein. Riguardo la possibilità di ricorso spagnolo per ottenere comunque l’estradizione, dal palazzo della di Giustizia Schleswig-Holstein hanno ieri annunciato che “per decidere se tale consegna potrà aver luogo è necessario chiarire le circostanze e avere maggiori informazioni”. Il concetto, così sinteticamente definito dai giudici tedeschi, annuncia che nel caso verrà valutata l’ipotesi di persecuzione e che in tal caso la Germania si riserva di proteggere – nel caso in cui ne facesse richiesta – piuttosto che estradare il politico indipendentista Puigdemont. La decisione della Corte tedesca sarà comunque determinante per le conseguenze a cui Puigdemont andrà incontro. Nel caso in cui in Germania dovessero riconoscere solo il reato di appropriazione indebita, rigettando ogni accusa di “alto tradimento” che, come puntualizzato, non è previsto dal Codice penale tedesco, la Spagna non potrà contestare questo reato neanche in caso di estradizione e potrà procedere unicamente verso l’accusa minore. Boccone amaro per la rancorosa Madrid che vedrebbe sfuggire definitivamente la possibilità di infliggere al “ribelle” ex presidente catalano una pena esemplare di 30 anni di reclusione. In Spagna, per l’appropriazione indebita, le pene variano infatti da un minimo di cinque ad un massimo di otto anni. Ben più severe di quelle previste in Italia, dove non si è mai visto un politico mettere piede in carcere per un simile reato, ma decisamente lontane dai trent’anni auspicati da Madrid già prima del referendum del primo ottobre dello scorso anno. L’appropriazione indebita peraltro non riguarda denaro pubblico intascato da Carles Puigdemont ma l’uso di questi per le spese del referendum del primo ottobre con cui i catalani hanno manifestato la volontà di indipendenza dalla Spagna.
Sembrano mettersi per il meglio le cose anche nel caso di Toni Comín, Meritxell Serret e Lluís Puig. I tre ex ministri catalani sono stati rilasciati, senza obbligo di cauzione, da un tribunale belga. Comín, Serret e Puig, come nel caso di Puigdemont in Germania, non possono comunque lasciare il Paese e devono rimanere a disposizione della giustizia. Diversa e ben più grave la condizione del poliziotto catalano Josep Lluís Trapero. L’uomo, ex capo della forza di polizia catalana, il Mossos d’Esquadra, rischia grosso con la contestazione di due reati di sedizione e altre organizzazioni criminali. Tra le accuse ci sarebbero la responsabilità di “passività” della polizia durante la celebrazione del referendum dell’1 ottobre e gli eventi che hanno avuto luogo nel Ministero dell’Economia il 20 settembre. Secondo l’accusa sostenuta dal giudice della Audiencia Nacional, Carmen Lamela, per il referendum “1-O” è stato messo in atto un “piano premeditato” da parte della dirigenza della polizia dei Mossos – guidati appunto da Trapero – per evitare di agire e “mascherato sotto i principi di polizia di proporzionalità, coerenza e tempestività veniva messa in atto la totale inattività” del corpo di polizia. Secondo il giudice, gli agenti del Mossos “si sono limitati a fingere l’impossibilità” di eseguire gli ordini superiori “di fronte al tumulto di persone concentrate nell’edificio (in cui si sarebbe votato il referendum, ndr), quando in realtà si trattava di un rifiuto aperto alle ripetute richieste di aiuto ricevute dalla Guardia Civil, al fine di proteggere la commissione giudiziaria incaricata di eseguire le perquisizioni con ordinanza giudiziaria”. In Catalogna, Josep Lluís Trapero è considerato dagli agenti del Mossos d’Esquadra un eroe ed il miglior direttore immaginabile. Le gravi accuse mosse a suo carico, quindi a carico dell’intero Mossos che avrebbe eseguito gli ordini di non intervenire in ottemperanza al presunto piano di ribellione, pregiudicherà inevitabilmente e forse in modo insanabile i rapporti tra il Governo di Mariano Rajoy e la forza di polizia della Catalogna.
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