Manette ieri in Puglia per 27 indagati raggiunti dal provvedimento della Procura della Repubblica di Lecce. Per venti la misura cautelare del carcere e agli altri sette i domiciliari. Tutte le ordinanze sono state emesse dal Tribunale di Lecce e notificate questa mattina dagli agenti della questura di Taranto. Alla fase finale dell’operazione hanno partecipato circa 200 agenti, compresi gli uomini del Servizio Centrale Operativo, delle Squadre mobili di Lecce, Foggia, Brindisi, L’Aquila e Alessandria, del Reparto prevenzione crimine di Lecce, insieme al Reparto volo e alle unità cinofile di Bari. Gli indagati sono accusati, a vario titolo e in concorso tra loro, di associazione di tipo mafioso, scambio politico elettorale-mafioso, estorsione, corruzione, rapina, riciclaggio, lesioni personali, danneggiamento, detenzione illegale di armi da fuoco e detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti. Dalle indagini, eseguite dagli investigatori della Squadra mobile di Taranto, si è capito che il clan mirava a strutturarsi in vero e proprio centro di potere, in grado di relazionarsi con le realtà istituzionali e la società civile attraverso la sua capacità di infiltrarsi nel tessuto economico-imprenditoriale locale, operando in diversi settori come l’aggiudicazione di appalti pubblici, le estorsioni ed il riciclaggio, creando un clima di intimidazione nei confronti di numerosi imprenditori locali.
Tra gli episodi più importanti troviamo la tentata estorsione messa in atto nei confronti dei vincitori dell’appalto di realizzazione dell’edizione numero 272 della Fiera “pessima” manduriana nel 2012, costretti con delle minacce, a versare una tangente di 30mila euro, per “accontentare” alcune persone di Bari, di Taranto e di Mesagne. Nel 2013 ci fu la tentata estorsione ai danni di una ditta di infissi attraverso danneggiamenti di vetture e l’esplosione di colpi di armi da fuoco per costringere il titolare a versare 15mila euro a titolo di pizzo. A dimostrare la potenzialità del gruppo anche la disponibilità di armi da fuoco (offerte anche in vendita), alcune delle quali predisposte per il tiro a raffica, occultate e tenute in un deposito, utilizzate per commettere delitti come vendita, cessione, distribuzione, commercializzazione, acquisto, ricezione, coltivazione e illecita detenzione di cocaina, eroina e marijuana. L’accusa di riciclaggio è stata causata dall’acquisto consapevole da un altro clan, di migliaia di capi di abbigliamento di provenienza delittuosa, per un valore di 150mila euro pagati in contanti, occupandosi poi del suo smistamento, commercializzazione, trasferimento e sostituzione, il tutto in nero e senza fatture. Diversi sono inoltre gli episodi documentati nei quali l’organizzazione mafiosa ha procurato voti di preferenza ad esponenti politici ad essa vicini, nell’aspettativa di ricevere in cambio favori e appalti pubblici.
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